L’attualità delle ultime settimane riguardo alle rivolte nei paesi arabi, mi consente di ritornare su un argomento che ha riscosso molto interesse e dibattito sia su questo blog che nel movimento libertario in generale. La discussione sulla rivoluzione oggi, seguita all’interessante convegno organizzato dal collettivo Asperimenti e dal Centro Studi Libertari di Milano (oggetto di un precedente molto commentato resoconto su questo blog) è molto interessante e potrà contare sulla pubblicazione degli atti del Convegno avvenuta qualche giorno fa e disponibile per chi fosse interessato con la sottoscrizione di 5 euro per coprirne i costi di stampa[1].
Sull’argomento rivoluzione, L’Anarchico ha già chiarito il suo pensiero nell’articolo in cui si è inquadrato il concetto di rivoluzione: “al mutare delle precondizioni oggettive della società contemporanea dei paesi occidentali e al venir meno del fermento rivoluzionario delle masse, gli anarchici dovrebbero ritornare al Malatesta […de]lla strategia del gradualismo anarchico. Questo non significa che gli anarchici debbano rinunciare alla rivolta individuale o collettiva come strumento per combattere l’ingiustizia e avvicinarsi all’anarchia. Al contrario, ritengo che la rivolta costituisca una delle armi più efficaci nella lotta umana per conquistare la libertà e che sia perfettamente in linea con la visione anarchica non soltanto malatestiana. Sono i pruriti insurrezionali o rivoluzionari che invece appaiono oggi fuori fuoco rispetto alla realtà che ci circonda e, di conseguenza, gli anarchici pragmatici dovrebbero prenderne atto e concentrarsi su attività in grado di dare un contributo anche minimo al progresso della società verso una sempre maggiore libertà”[2]. Questa posizione è compatibile con le concezioni di Ibañez quando afferma che “l’idea di rivoluzione diventa incompatibile con l’anarchismo dall’istante in cui essa prende la forma di un progetto politico, cioè di un progetto virtualmente realizzabile e che orienta la pratica social-antagonista dei libertari”[3] ma non è antitetica al Colombo che dichiara che le “società non cambiano in un giorno ma le giornate rivoluzionarie sono il motore del cambiamento”[4].
E’, infatti, innegabile che il lavoro quotidiano dei libertari sia quello di agire nella società per aprire, difendere e allargare tutti i possibili “spazi di libertà”. Ma va anche considerato che questa attività si scontra con l’interesse dei potenti a esercitare il massimo controllo sociale possibile in ogni circostanza. Questo scontro è intrinseco alla vita di chiunque sia impegnato nella difesa della libertà e limita fortemente l’attività dei libertari. Alcune cose essenziali per pervenire ad un livello accettabile di libertà sociale ed individuale sembrano semplicemente impossibili da realizzare con un approccio gradualistico, considerati i forti interessi in gioco e la repressione che ne deriva. Ma la storia dimostra che i rivolgimenti sociali di tipo insurrezionale accadono quando le condizioni sono propizie, aprendo la strada a esperimenti di liberazione impensabili e implausibili in circostanze normali.
La situazione che si è venuta a creare nell’Africa del Nord con le rivoluzioni di Tunisia ed Egitto e il fermento in Marocco, Libia, Algeria e Sudan e nel medio oriente (Giordania, Siria, Iran, Yemen e Bahrein)[5] dimostra che quello che ieri sembrava impensabile oggi può diventare possibile. Chiaramente, le popolazioni del Maghreb e del medio oriente non possono essere paragonate a quelle di un paese post-industriale e relativamente agiato come l’Italia. Però ci sono alcuni importantissimi elementi in comune.
Il primo è la disaffezione della popolazione nei confronti della politica e della militanza politica tradizionale: l’iniziativa della rivolta araba si è basata e si basa largamente sull’autoconvocazione, sull’autorganizzazione delle proteste e dell’informazione, sull’autogestione dei contenuti, sul mutuo appoggio e sull’autodifesa dei manifestanti. Il secondo è che la situazione economica è andata peggiorando, in seguito agli effetti della crisi finanziaria, soprattutto per la cosiddetta classe media (in termini relativi) ma anche per i ceti popolari. Inoltre, l’incapacità delle classi dirigenti di proporsi come interpreti del cambiamento di fronte alle richieste della piazza, attraverso iniziative credibili di stampo riformistico. Ultimo elemento in comune con i regimi arabi è l’atteggiamento autoritario e (anche violentemente) repressivo del governo italiano che disprezza da anni l’equilibrio fra i poteri cosiddetti democratici ed esercita il dominio sui mezzi d’informazione, influenzando anche quelli che non controlla direttamente (ma che sono controllati dalle élites economiche e sociali corresponsabili nel sostenerlo).
Dimenticavo di sottolineare che in Italia, così come in Egitto e in Tunisia, i politici non sono eletti in un normale contesto democratico parlamentare, dove il cittadino sceglie attraverso il voto uno o più rappresentanti in parlamento, ma sono nominati dalla nomenklatura e, conseguentemente, non rispondono neanche in teoria all’elettore ma rispondono soltanto a chi li ha messi in lista da far eleggere. Tutto sommato, i punti di contatto sono molti anche se va messa in evidenza la differenza principale: le popolazioni arabe sono in maggioranza costituite da giovani sotto i 25 anni mentre in Italia la componente giovanile è nettamente minoritaria. Ciò nonostante l’idea di una pressione popolare per liberarsi di questa dittatura “soft” comincia a farsi strada anche da noi e noi anarchici non dobbiamo ignorarlo[6].
In Tunisia prima ed in Egitto poi, la pressione insurrezionale sulle classi dirigenti è andata quindi montando di settimana in settimana fino a che non si è verificato un (vero o presunto) cambiamento al vertice politico. La piazza per il momento sembra essersi accontentata di qualche concessione e di un cambio di regime da gestire attraverso un processo di stampo “democratico” ovvero nuove elezioni, nuova costituzione, etc etc. Ma l’obiettivo della “libertà” rimane lungi dall’essere raggiunto e possiamo solo auspicare che le persone mantengano la capacità di coinvolgimento e mobilitazione, per verificare che al cambio di facciata corrisponda una mutazione radicale del rapporto tra governanti e governati. Quindi, resta dimostrato il vecchio paradigma libertario: la rivoluzione in sé non è garanzia di liberazione e, anzi, occorre vigilare che non serva per sostituire ad una tirannide un’altra addirittura peggiore.
La situazione italiana non è senz’altro pre-insurrezionale ma sicuramente la pentola è sotto pressione e non si vede chi riuscirà ad agire sulla valvola di sfogo. La crisi morde soprattutto le fasce sociali già sofferenti: i giovani strutturalmente precari, i lavoratori dell’industria licenziati o precarizzati in seguito allo spostamento delle fabbriche, gli anziani e i disabili che vedono abbassarsi drasticamente i livelli di assistenza, i bambini e le famiglie che subiscono i tagli nella scuola e nei servizi sociali. Tutto questo mentre le mafie sversano rifiuti ovunque, le polveri sottili sono ormai una componente atmosferica di base in molte regioni italiane (in barba alla stessa legge comunitaria) e si progettano opere pubbliche che interessano solo ed esclusivamente gli affaristi di regime (ponte sullo stretto, TAV, centrali nucleari, etc). Per concludere questa breve e incompleta rassegna degli orrori politici, una citazione per la spesa militare: l’unica che cresce anno dopo anno[7]. In questo contesto, la classe politica è impegnata nel solito teatrino confidando che nessuno riuscirà a intervenire per levare il potere dalle mani della casta autonominatasi al governo e all’opposizione. E i cittadini sono storditi e ancora incapaci di proporsi per un cambiamento radicale sul quale non hanno mai saputo riflettere.
Anche su questo versante il libertario deve sapersi organizzare per migliorare la propria capacità di fermentare la società, favorendone la maturazione autogestionaria. Innanzitutto, mettendosi in relazione con le proprie compagne e i propri compagni, in modo che individui e gruppi libertari crescano e si moltiplichino riuscendo ad elaborare più chiaramente il proprio immaginario collettivo (rispettoso della diversità e, quindi, plurale). Dal punto di vista pratico, è essenziale mantenere e aprire nella società spazi di libertà ed autogestione, più efficacemente in grado di resistere ed allargare il proprio campo d’azione. A proposito, numerosi luoghi anarchici sono attualmente sotto sgombero in tutta Italia: teniamoli d’occhio anche se non siamo direttamente coinvolti e prepariamoci a difenderli.
Ma il libertario autentico deve essere in grado di dialogare e di lavorare soprattutto con chi non appartiene al nostro ambiente, nell’ottica di costruire rapporti solidali e proficui rispettosi delle tante strade che possono portare ad una maggiore libertà.
Si potrebbe quindi concludere che il militante libertario non dovrebbe lavorare (né forse lo potrebbe) per costruire l’insurrezione futura, ma dovrebbe cercare di rivoluzionare soprattutto sé stesso, per aprirsi a pratiche di liberazione attraverso l’autogestione a tutti i livelli delle attività sociali. Ma l’insurrezione popolare non per questo scompare dall’orizzonte e l’anarchico deve sapersi porre come attore protagonista nei rivolgimenti sociali, quando i tempi saranno maturi, al fine di stimolare le masse insoddisfatte alla lotta tesa ad assicurare il massimo della libertà (e quindi il minimo di autoritarismo) in ciascuna situazione concreta, anche per evitare lo sbocco storicamente più probabile di ogni insurrezione: la dittatura.
[1] Il libretto è disponibile in diversi luoghi libertari: meglio chiedere la lista aggiornata o la spedizione a casa a esperimenti@paranoici.org.
[2] “Rivoluzione oggi (o anche no?)”: http://anarchico.noblogs.org/post/2010/10/28/rivoluzione-oggi-o-anche-no/
[3] Tomas Ibañez, “Addio alla rivoluzione”, http://asperimenti.noblogs.org/files/2010/10/Ibanez.pdf
[4] Eduardo Colombo “L’orizzonte dell’insurrezione”, http://asperimenti.noblogs.org/files/2010/10/traduzioneCorr_abi_colombo.pdf
[5] Si veda il blog della Federazione dei Comunisti Anarchici (FDCA) per un aggiornamento della situazione: http://www.anarkismo.net/article/18694
[6] In ogni caso, un recente sondaggio mostra che una cospicua minoranza di italiani guarderebbe con favore ad un’ipotesi egiziana: http://www.demos.it/2011/img/1678m10.gif
[7] “L’Italia gioca ancora in difesa: nel 2010 le spese militari lasceranno sul terreno dei conti pubblici oltre 23.500 milioni di euro. Il nostro Paese, oggi all’8° posto al mondo per spese militari, ha più di 30 missioni internazionali in corso e nei prossimi anni ha in programma di acquistare, per citare solo uno dei faraonici progetti sui cosiddetti “sistemi d’arma”, 131 cacciabombardieri per 13 miliardi di euro”. Massimo Paolicelli e Francesco Vignarca, “Il caro armato. Spese, affari e sprechi delle Forze Armate italiane”, Edizioni Altreeconomia, 2010, http://www.altreconomia.it/site/ec_articolo_dettaglio.php?intId=89.
Io credo sinceramente che bisogna partire dall’individuo.
La società, il mercato, lo stato, sono tutte parole vecchie che ci obbligano a rimanere incatenati a l’una o all’altra cosa.
Gli individui esistono, li tocchi, li respiri, li ascolti, la società, il mercato e lo stato no. Non siamo parole, siamo persone con delle idee, noi non siamo la società, non siamo lo stato, non siamo il mercato, – noi siamo individui.
Tutte le regole sulla rivoluzione devono partire non da analisi sociologiche ma da rapporti tra individui differenti, nuovi, estremi, responsabili, consapevoli. I nostri corpi hanno sempre fatto paura al potere, perchè sono l’unica cosa rimasta di non verbale (come scriveva Pasolini) capace di scardinare tutte le regole in gioco. I corpi sono nostri, degli individui, e non della società, non dello Stato, non del mercato; quelle sono solo parole, noi siamo fatti di carne e ossa e non solo, ma qui il discorso si allargherebbe…..
La rivoluzione parte da qui. Forse.
In merito alla critica, infondata, sul fatto che gli anarchici non discutano, per esempio, tra le tante cose, di “Urbanistica” in tutte le sedi appropriate, ecco un’iniziativa del 4 Marzo del Centro di Doc. Anarchica Libreria Anomalia di Roma pubblicato oggi sulle news di A-info.it:
Anomalia: 4 marzo, Percorsi urbani: per una città diversa incontro e proiezione
Libreria Anomalia, via dei campani 73 – 4 marzo, 2011, ore 19.30
Percorsi urbani: per una città diversa. Incontro con Carlo Cellamare (urbanista, autore di FARE CITTA’, Elèuthera, 2008). Lorenzo Romito (Primavera Romana)
Proiezione del video \Il Mundus\ di Gaetano Crivaro (2010, 17′)
Info: 06491335 – http://www.libreriaanomalia.org
Strippy, parli di difesa degli imprenditori (che sanno difendersi benissimo da soli); dici che la parola compagno ‘ti fa ridere’, proponi, tra una derisione e l’altra, di portare “architetti e negozianti liberali” (?) dalla nostra parte. Elenchi poi tutta una serie di attività che i libertari, da sempre, SVOLGONO GIA’ attivamente nella società ed in -tutte le sedi-, anche se probabilmente, non ti hanno istruito in proposito. Mi chiedo, sinceramente: volevi dialogare e fare mozioni sensate sugli argomenti o invece impedire, con delle provocazioni continue, una discussione assennata e rispettosa? Butti qua e la delle istigazioni mascherandole con qualche estemporanea e poco meditata proposta. Non mi quadrano questi fatti e non appaiono corretti i tuoi non-documentati e tendenziosi commenti, insieme ai dileggi (che inizialmente avevo erroneamente inteso come un indomito atteggiamento d’avanguardia individualista). Cosa intendi per anarchici con il bollino blu? Credi di parlare con delle banane o con delle persone, con le proprie idee con cui scambiare opinioni, proposte e progetti? Per me la semplice convivenza e non richiede necessariamente di essere libertari, ma dai libertari, anche dagli ex, il minimo rispetto delle altre persone è per me implicito.
Invece il tuo scopo qual è? Cosa sei qui a proporre agli anarchici oltre che l’insulto? Di andare nei circoli arci o nei teatri, nelle università a parlare di autogestione, realtà delle prigioni, iniziative, rivoluzione, ecologia, urbanistica? Pensi veramente che non si faccia e ciò o non accada già “quotidianamente” ? Ma hai mai veramente provato perlomeno a chiedere delle iniziative in corso in qualche oramai raro circolo “attivo” prima di arrivare qua e darci dei banana solo perché non ti piace neanche sentirti dire cosa accade nel movimento e sei confuso (o VUOI confondere gli altri) su quello che gli anarchici propongono? Non bastava chiederci se tale iniziative si svolgono già o meno? Ma tu cosa/chi conosci? Cosa ti hanno detto? Cosa ti stai immaginando? Che ci si riunisce parlando di null’altro che rivoluzione e utopia? Avere un’ottica rivoluzionaria non vuol dire rinunciare alle attività che tu nomini, anzi, il contrario. E’ proprio la volontà di rivoluzionare il sistema ed il rifiuto del dominio corrente che anima chi vuol cambiare le cose e si sbatte tutti i giorni per farlo.
Tirando le somme di quanto scrivi e quanto ho ora letto dai tuoi post anche in altri threads, tutti con lo stesso tono, mi pare che i tuoi interventi vogliano generare ‘disprezzo’ verso gli anarchici e abbiano quindi principalmente uno scopo provocatorio, di boicottaggio. Mi sono reso poi conto che certi tuoi post, che ricalcano stranamente in fotocopia quelli di un altro utente, iniziano, proprio come i suoi (?) con la parola “Oh”. Mi chiedo, “oh” che cosa? Oltre che darci dei banana pensi di stare svolgendo una comunicazione epistolare con dei bovini a cui ti rivolgi con un grugnito? Certi modi son roba da caserma. Dici di avere e tenere degli “avamposti” (?). Avamposti di che? Del dileggio? Dello sputtanamento provocatorio? Della difesa dei piccoli mercanti e degli, come dici, architetti liberali 🙂 a scapito dell’ottica rivoluzionaria?
Se è questo che cerchi, non lo troverai mai di certo tra gli anarchici.
Sì non ho niente di meglio da fare, per fortuna ci sono i miei avamposti….
Era il penultimo messaggio sotto l’effetto scompagnati, l’ultimo è questo.
Buona Fortuna.
Grazie.
Sentite un po’, anarchici con il bollino blu, ma perchè non fate in modo che l’urgenza di certe tematiche legate ai diritti civili, alle libertà, non solo del lavoratore salariato ma anche del piccolo commerciante oppresso, del sovraffollamento delle carceri, dell’urbanistica, dell’abitazione ecc., non trovino nuove e diverse sedi per i dibattiti e i confronti, magari non sempre nelle solite sedi anarchiche che nessuno conosce e con le idee preconcette di tantissima gente. Insomma allargate la cerchia di amicizie, trovate nelle periferie di Milano delle sedi alternative, opportune per farvi ospitare, per farvi conoscere, (non per pubblicizzare solo la rivista e nemmeno per ragionare sempre e solo di stragi impunite) per portare un po’ di aria fresca “Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi” […]
Magari non cominciate dalla rivoluzione, cominciate con i problemi reali della gente, provate a sporcarvi, a sperimentare, a dialogare con l’uomo comune, intanto vi fate conoscere, proponete le vostre idee, i vostri libri, le vostre riviste, dopo. Usate un po’ di psicologia sociale senza perdere di vista i vostri orizzonti. Siate più furbi e non solo duri e puri. Non so come dire, non mi vengono le parole….
Insomma “amico” mio, (la parola compagno mi fa un po’ ridere), quello che voglio dirti è che se trovate il modo di portare la discussione su certe tematiche fuori dalla solita cerchia di appassionati o idealisti, in altri locali, con tematiche di interesse generale, forse, dico forse, un po’ più di consenso lo trovereste, forse, non sono sicuro nemmeno io, però potreste provare a interessarvi.
Non avete tramite amicizie altri punti di riferimento in quartieri milanesi, periferie, per qualche serata/dibattito? Come funziona? Io no lo so, è difficile?
Secondo me se riuscite a farvi ascoltare in modo più esteso e in più luoghi “meno politicizzati” ( però non con un dibattito sull’insurrezione al giorno d’oggi nella cooperativa degli Olmi ), con iniziative mirate a far riflette il pubblico, ad aiutarlo a pensare, un pubblico capace di farvi anche domande scomode, forse può davvero servire a portare qualche raggio di sole in più.
Se state comodi comodi nessuno vi capirà, e se nessuno vi capisce la colpa non è sempre di chi non capisce ma anche di chi potendo fare qualcosa in più fa non molto per allargare il dibattito fuori dal solito circolino massonico con le solite discussioni sulla bellezza del pensiero anarchico, sul post-neo-anarchismo ecc. Sarebbe come andare a un congresso di partito dove i partecipanti sono solo gli iscritti e i contenuti interessano solo ai fedeli sostenitori del partito.
Magari dopo ci facciamo pure due belle risate a sentir parlare un calabrese che si lamenta del traffico; se non sono tanti gli anarchici urbanisti, se non sono tanti tanti gli anarchici architetti, se non sono tanti gli anarchici negozianti, facciamo in modo di avvicinarci noi in qualche modo a loro, cerchiamo persone con una sensibilità libertaria ma anche democratica, liberale, disposta a partecipare a un dibattito interessante, attuale, non nelle solite sedi però.Basta anche solo la presenza di qualche libertario, qualche libertaria per promuovere un dibattito, ma che sia qualcosa di più attuale delle solite teorie (bellissime) sulla “rivoluzione”.
Più o meno mi sono spiegato? Forse.
@Strippy: Vedo che sei diventato assiduo commentatore di questo blog. Se però utilizzi lo spazio dei commenti agli articoli per andare fuori tema e dare suggerimenti paternalistici ad un movimento anarchico che, a giudicare da quello che scrivi, non conosci e non frequenti, vorrei solo dirti che sei nel posto sbagliato e saresti più efficace se portassi avanti le tue proposte in un circolo vicino a casa tua dove senz’altro troveresti qualcun* a risponderti nel merito…
Salute,
concordo che l’anarchic@ dovrebbe cercar di rivoluzionare se stess@ e sostenere ‘spazi’ libertari e lotte sociali partecipandovi. Mi associo di nuovo anche all’idea che perlomeno la “prospettiva” rivoluzionaria sia importante e aderisco all’analisi che definisce termini e concetti quali: ‘dittatura soft’, ‘maturazione autogestionaria della società’ e ‘gradualismo anarchico’.
Perché è palese che la ‘prospettiva rivoluzionaria’ ed il ‘gradualismo’ non sono assolutamente in conflitto, visto che, nella società attuale, non sono presenti abbastanza “individui” disposti subito alla ribellione generale.
E’ un poco illogico pensare il contrario, ma io stesso lo faccio e sono sicuro che molti di noi si sentono, giustamente,” in personale conflitto totale” con buona parte delle individualità che compongono questa triste cosiddetta società. A questo riguardo non so se qualche colto o esperto compagno del passato o del presente abbia mai scritto qualcosa o esaminato tale situazione psicologica e contingente dell’anarchico, anche proprio dal punto di vista individuale, non solo del ‘movimento’. Forse sì, e mi piacerebbe averne le referenze se esistono o le conoscete.
Io credo comunque che tale condizione sia perlomeno rimediabile con l’associazione e la lotta ‘insieme ad altri’ con gli stessi nostri ideali. Associarsi guarisce da spinte che conducono, con il tempo, a idee o scelte misantropiche o peggio controrivoluzionarie. Nella nostra specie umana, nei ‘Primati’, è prevalente la forza associativa ed è su quella che bisogna lavorare, non solo su noi stessi ma anche proprio con gli altri. L’anarchismo NON è per me un pensiero politico ermetico o complicato ma è la naturale e libera manifestazione dell’intelletto unito alla natura libertaria degli individui. Il carattere che contraddistingue l’essere libertari@ è, per me, l’indomitismo rivoluzionario, l’esser poco incline ai soprusi asociali, l’essere pronti/e alla rivolta personale e/o del gruppo contro il potere di uno solo o di molti, per il mantenimento o la conquista della naturale libertà, per me diritto di nascita, anzi, ‘condizione di nascita’, che nessun sopruso sarà mai veramente in grado di toglierci.
In merito, appunto, alle ‘rivoluzione possibili’ in una società quale, per esempio quella italiana in cui, come l’Anarchico accenna, i cittadini sono incapaci di prospettarsi o riflettere su una rivoluzione radicale, è ottimo il prospettarsi di costruire o difendere spazi liberi e luoghi di diffusione delle pratiche autogestionarie.
A mio parere, bisognerebbe veramente fare in modo, come dicevo, che questi spazi siano fortemente associativi, non solo tra libertari o gli autonomi, ma anche per gli altri, altrimenti viene a mancare la vera forza dell’associazionismo naturale e solidale, l’unico capace di aprire veri spazi di rivoluzione.
Pensiamo, appunto, ai fatti in Egitto, Libia e Tunisia. Io credo che l’associazionismo in quei casi abbia funzionato sotto il profilo rivoluzionario non solo per le condizioni contingenti di miseria, fame, mancanza di prospettive che sono presenti da secoli in quei territori, ma anche per la nuova presenza di un numero di giovani che facevano riferimento a quell’aspetto originario e per me libertario che era (ed è ancora) in un certo qual modo presente nella rete internet: quello spirito rivoluzionario che sovverte i normali ed autoritari scambi di informazione controllati dai media statali o privati, che trasla su un piano orizzontale e non verticista le idee e le novità sociali e l’informazione.
Io credo che questo sia un buonissimo esempio di come la rete, in quanto luogo di informazione e ASSOCIAZIONE, possa e debba essere usata dagli anarchici rivoluzionari in un ambito strategico di gradualismo anarchico, perché il web è per me veramente efficace in questo senso.
Io auspico che gli anarchici riescano sempre più a caratterizzare questo mezzo anche e soltanto con una semplice tecnica di continue e protratte incursioni libertarie in vari forums, blogs, emails, commenti alle news ufficiali, siti informativi ecc. Facendoci avanti con le nostre idee di libertà e giustizia. Facendosi sentire.
Perché credo che questa tecnica sia funzionale, al presente, quasi quanto la gestione e sopravvivenza di spazi associativi fisici e penso sempre di più che le rivoluzioni in Maghreb ne siano un esempio.
Quindi propongo, seriamente, collettivi di incursori telematici, capaci di divulgare ovunque nella rete, le prospettive ed idee libertarie e –rivoluzionarie- in maniera congrua e corretta, cioè non sempre conflittuale ed offensiva verso i meno preparati o conservatori ma propositiva, dando esempio di come l’autogestione, in realtà, anche nelle informazioni e nei dibattiti, sia proficua, giusta, libera, umana! Bisognerebbe associare queste nuove tecniche di diffusione telematica delle nostre idee al vecchio volantinaggio, ai periodici libertari, ai csoa nelle strade, alle comuni di autoproduzione e lotta. Tuttavia, a mio parere, bisogna farlo in maniera molto più forte e indomita di adesso, almeno quanto prorompente quanto è un’occupazione, un blocco stradale, una combattiva scritta su un muro. Bisogna per me entrare nei blog, nei siti di news del dominio, ogni spazio aperto che la rete ancora (forse per poco) ci lascia, per fare sentire “civilmente” (dando cioè il buon esempio, liberi dagli atteggiamenti dei cosiddetti “trolls”) la voce rivoluzionaria dei libertari. I nostri avversari, supportati dalla forza del numero e del denaro, dalla cultura dominante, dal potere, già lo fanno in qualsiasi ambito inquinando, costantemente, web, discussioni, notizie, articoli, con prospettive e commenti religiosi, o autoritari, dileggiatori, controrivoluzionari, e lo fanno con tecniche spregiudicate quali lo spam e l’incivil motteggio. Ma essi, in quanto conservatori, mancano totalmente di spinta rivoluzionaria e non hanno la possibilità, l’intenzione di germinare in spazi nuovi e liberi e non saranno capaci di contrastare le reali e nuove lotte e rivoluzioni sociali animate da idee libertarie perché, semplicemente, non dicono la verità ! ma si agitano per difendere una società sbagliata e abominevole.
Quando parlavo invece di spazi “fisici” associativi “veramente” aperti a tutti parlavo, per esempio, della mia esperienza, durata alcuni anni, anche nei collettivi e csoa in Euskal Herria, nella penisola iberica. In tali spazi, dove forse è ancora forte l’eco (?) comunitario dell’esperienza dell’autogestione durante la guerra civile, io ho sempre riscontrato, a livello collettivo, una diversa e più concreta comunicazione con il tessuto sociale in cui tali spazi erano presenti. Coloro che, come me, erano occupanti, cercavano, veramente, un dialogo, con la gente del barrio, della via, con i vicini, con la città, con i contadini (caseros).
Io vedevo, in tale approccio, l’anarchismo originario, quello nato dal popolo e per il popolo, dove le barriere con il mondo esterno cercavano di essere infrante, anche scherzosamente e davvero con leggerezza ed amichevolezza, non innalzate con la presunzione.
Sono stato in grecia durante le rivolte dell’’anno scorso e, anche se in un articolo che ho letto recentemente su UN o A rivista gli anarchici venivano descritti come molto eterogenei e simili al nostro movimento autonomo degli anni 70-80, io credo però che bensì buona parte di essi sia ben integrata con il tessuto sociale.
Quante volte, qui nella nostra penisola, ho invece visto atteggiamenti troppo conflittuali verso l’esterno nei nostri csa o csoa di cui io stesso ho fatto parte. Non fraintendetemi, ho da sempre partecipato principalmente a collettivi di punk anarchici e quindi non è la ‘convenzionalità’ che anima queste mie osservazioni, ma solo una modesta e semplice esperienza. Molti dei nostri collettivi mancano o hanno poche persone abili e volenterose di instaurare veramente un dialogo non conflittuale con il popolo. Spero di sbagliarmi.
Io credo che nella penisola iberica o ellenica questo accada meno e, quando possibile, gli anarchici siano ancora veramente in grado di ascoltare e farsi ascoltare. Bisogna chiedersi il perché e lavorare, rivoluzionando noi stessi senza tuttavia cadere in prospettive ‘controrivoluzionarie’ perché non è questa la via. E’ utile invece creare proposte, spazi ed interventi sia telematici che fisici che sappiano fare del vero rispetto e anche dell’ascolto e del dibattito amichevole, una forza capace di sfondare il muro dell’ignoranza e soprattutto della convenzionalità, per proporre le nostre idee innegabilmente rivoluzionarie creando un terreno che sia finalmente fertile alla maturazione autogestionaria.
Chiedo scusa se non ho il dono della sinteticità e per l’ovvietà del commento, ognuno ha i suoi limiti, credo che certi principi sia comunque corretto ribadirli, liberi dalla volontà di insegnare ma piuttosto di proporre.
Aurrera boliè,
Max
@Max: questo tuo articolo arricchisce questo spazio perché va oltre la logica del commentare quello che qualcun altr* scrive. Ti ringrazio molto per aver condiviso i tuoi pensieri.