Qualcun* delle mie/dei miei poch* (ma buon*) lettrici e lettori, mi ha sollecitato a scrivere per prendere una posizione rispetto alla grande manifestazione del 13 febbraio “Se non ora quando” partita da molte donne indignate dalla situazione femminile in Italia.
Come costume de L’Anarchico, lasciando passare un po’ di tempo per riflettere, devo dire che mi ritrovo interamente nel pensiero di una compagna appartenente alla Federazione Anarchica Torinese, Maria Matteo, espresso sul settimanale anarchico Umanità Nova in un recente articolo che trovate qui e che riporto per comodità:
Maria Matteo (Fonte: Umanità Nova, n.6, Anno 91 del 27 febbraio 2011)
Il gioco delle poltrone
Madri della patria, prostitute, ministre: a proposito di piazze “femministe”
Le manifestazioni “femministe” della scorsa settimana ci offrono, al di là della cronaca, un’occasione di riflessione sui tempi che viviamo.
Centinaia di migliaia di donne – e uomini – si sono ritrovate in piazza. Grandi numeri, numeri che sono sempre mancati quando in ballo c’erano questioni davvero importanti come il lavoro, il razzismo, la guerra, il militarismo.
D’altro canto, quando le piazze – per quanto pompate mediaticamente – raccolgono tanta gente, spesso gente diversa, è il segno di un’urgenza che preme.
Il comun denominatore di quelle piazze è stata indubbiamente l’indignazione.
Un’indignazione che qua e là ha travalicato gli ambiti angusti della sinistra giustizialista e moralista di marca democratica, ma non ha saputo emanciparsene.
Indignazione che stupisce solo perché tardiva. La volgarità intrinseca del berlusconismo, il suo disprezzo esplicito per le donne, il suo considerare la politica come proprio orto personale, tanto personale da piazzarci le sue cortigiane, non è una novità.
Chi ne poteva dubitare dopo la nomina di donne ministro pescate tra le starlette da calendario?
L’unica novità è l’approdo in tribunale. L’unica novità è Ilda Boccassini.
Una novità decisamente inquietante. Inquietanti i cartelli con la scritta “La vostra eroina è Ruby, la nostra Ilda”. Se il simbolo della libertà femminile è un pubblico ministero, il puzzo di galera è decisamente più ammorbante di quello del bordello berlusconiano.
Alla manifestazione torinese si sprecavano le coccarde tricolori sul bavero delle giacche ultima moda delle signore della sinistra bene. Su un cartello esibito con orgoglio da due ragazze c’era scritto “noi le mutande le abbiamo e ce le teniamo”. Fortuna che poco oltre altre ragazze esibivano le fronti con scritto – pudicamente in inglese – “free sex”.
E inquietante era il trasversalismo delle piazze. L’avvocato di Giulio Andreotti, la finiana Giulia Bongiorno, era sul palco della manifestazione romana. Che volesse far dimenticare il suo ruolo di mediatrice tra i (neo)giustizialisti di Futuro e Libertà e la gang berlusconiana? A Milano c’era un’altra (post)fascista come Flavia Perina. Per non dire della suora che ha parlato per le migranti o di Camusso che è intervenuta per le lavoratrici.
Un elenco che ha il sapore della beffa verso le donne che vivono di precarietà, verso le immigrate asservite come badanti o prostitute, verso le antifasciste, quelle che non hanno perso la memoria al punto di annegarla in un brodo interclassista, trasversale, patriottico, materno.
Sì materno. Questa sorta di CLN che imbarca anche le fasciste e le suore, impone a noi tutte l’abito della madre della patria, chiamata ad imporre misura ed ordine nell’Italia del puttaniere. Un ordine che sa di tribunale, impregnato di moralismo ipocrita.
La stessa ipocrisia di chi si indigna per le minorenni pagate da Berlusconi ma non vede, non vuole vedere, le centinaia di ragazze, quasi sempre immigrate, spesso giovanissime, mezze nude anche d’inverno, saltellare come trampolieri tristi su tacchi improbabili agli angoli delle strade. Ma forse se le si vedesse, se la loro presenza divenisse una questione politica, bisognerebbe riconoscere che Berlusconi è solo uno dei tanti puttanieri che non esitano a comperare una bambina.
Una delle tante che forse nemmeno l’ha scelto: rapite, comperate dalle famiglie, illuse con il miraggio di un lavoro. E poi botte, stupri, minacce.
Dov’erano le donne e gli uomini che hanno riempito le piazze del 13 febbraio quando pochi anarchici ed antirazzisti sostenevano una come Joy? Una prostituta che si è ribellata ai papponi, sapendo di rischiare la pelle. Una che nessuno vedeva quando calcava i marciapiedi di mezz’Italia, ma è subito finita in un CIE quando le è venuta meno la “protezione” di sfruttatori e poliziotti. Una per la quale la dignità conquistata non aveva prezzo. Una che ha detto “NO” all’ispettore capo del CIE, Vittorio Addesso, e l’ha pagata con botte e denunce. Una che, anche in tribunale, accusata di aver partecipato alla rivolta di via Corelli, ha osato gridare forte contro Addesso.
In Piemonte da mesi c’é chi lotta contro la circolare “Ferrero” che consentirà l’ingresso del movimento per la vita nei consultori. Argomento troppo scabroso per una sinistra che non può permettersi di irritare i cattolici.
Post democristiani, post comunisti e post fascisti si eleggono campioni della misura e della prudenza. Sanno bene che l’Italia è piena di Berlusconi: lui è solo più arrogante, sfacciato, esibizionista. Così sicuro di se da telefonare di persona invece di far chiamare un tirapiedi. Così sicuro di se da fare compra vendita di parlamentari senza neppure salvare le apparenze. D’altro canto lui compra perché altri si mettono in vetrina con il cartellino del prezzo.
Di fronte al re e alle sue cortigiane propongono l’idea di una sorta di nuova sacra famiglia.
Una sacra famiglia per un’Italia sempre più povera, divisa tra chi ha troppo e chi ha nulla, un’Italia dove le violenze e gli stupri hanno il loro tempio nel chiuso delle case, tra padri, mariti, partner.
Una sacra famiglia fatta di ipocrisia, inganno, violenza. Una gabbia ben nota a chi ha qualche anno in più: un retaggio di un passato così recente da far temere che non sia mai passato davvero.
Lo scopo nemmeno troppo mascherato è evidente: tutto deve restare come prima tranne poltrone e ministeri.
Chi si candida a succedere a Berlusconi non intende cambiare davvero. Quando il centrosinistra ha governato le sue scelte, in materia di lavoro, immigrazione, sicurezza, guerra sono state in tutto simili a quelle del centrodestra. Il partito unico che ci governa da oltre tre lustri, si divide sul potere non certo sui programmi.
Ed un gioco di potere è quello delle donne che hanno promosso la manifestazione: donne di apparato, donne che nella sinistra continuano a contare poco e reclamano il loro posto al sole. Donne che faranno pesare le manifestazioni del 13 febbraio quando si aprirà la lotta per la spartizione di candidature, ministeri o il controllo di una ASL.
Le femministe storiche, quelle della teoria della differenza, rimaste inizialmente in disparte, impegnate in filosofici distinguo, quando hanno capito che la marea cresceva, si sono buttate nella mischia. Non potevano permettere che donne estranee alla loro storia, quelle tristi donne di apparato tanto disprezzate, mettessero in scena da sole quell’operazione di lobbing al femminile da loro tanto finemente teorizzata.
Qualcuno potrebbe obiettare che, al di là delle funzionarie a caccia di potere, delle femministe differenzialiste in cerca di legittimazione, le piazze del 13 febbraio hanno catalizzato una rabbia ed un’indignazione non banalmente riassorbibili all’interno del volgare gioco delle poltrone di chi le ha promosse.
Certo. E sarebbe interessante che emergessero proposte diverse, capaci di intercettare i settori minoritari ma comunque importanti che non si lasciano intrappolare dal moralismo e dal giustizialismo di tanta parte di quelle piazze.
Resta il dubbio che le piazze/evento, le occasioni/che/non/si/possono/mancare, alimentate mediaticamente non siano la sconfitta del berlusconismo ma la sua apoteosi. La summa del berlusconismo è nell’immagine che si fa cosa, mentre le cose, in se, non sono che pallide ombre.
Il Berlusconismo è spettacolo: quando lo spettacolo non piace se ne mette in scena un altro, ma è pur sempre la logica dello spettacolo a prevalere.
Gli ombrelli, aperti simbolicamente per non essere colpite dal fango, non riparano dalla vergogna dell’imperatore che piazza in senato il suo cavallo. Gli ombrelli semmai nascondono. Nascondono i corpi messi al lavoro, sfruttati, precari, nevrotici. Corpi la cui dignità è offesa ogni giorno dalle scelte di questo governo, in tutto simile a quello che lo ha preceduto, in tutto simile a quello che vorrebbe succedergli.
Corpi offesi ogni giorno da un ordine sociale ingiusto, corpi che non sanno liberarsi ma vivono un’illusione di purezza di fronte al re ed alle sue cortigiane.
Corpi che si mettono in scena, incapaci di r/esistere fuori dai riflettori di un gigantesco, ben orchestrato, flash mob.
Urge quindi ri-tornare ad un pensiero e ad una pratica di relazioni libero, che sappia far rinverdire lo slogan femminista “il personale è politico” che superi l’idea di politica (e di femminile) come cosa personale del premier, ma sappia altresì sottrarsi alla logica dello spettacolo. Una logica in cui l’immagine è tutto e tutti sono solo cose.
Sono tante le donne che – giorno dopo giorno – agiscono la politica in prima persona, partendo da se, attraversando i generi, costruendo in autonomia i propri itinerari. Donne solidali con le altre donne, ma estranee ad ogni logica di lobby, irridenti e libere dal gioco delle poltrone.
Maria Matteo
C’è solo un errore un pò grossolano (a mio avviso)in questo articolo e mi permetto di rimarcarlo, la massa degli ombrelli rossi non era lì per simboleggiare il ripararsi da qualcosa ma al contrario per ostentare una sorellanza con le donne prostitute http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2011/02/08/13-febbraio-massa-critica-con-gli-ombrelli-rossi-noi-vogliamo-tutto/
Ottimo articolo, condivido in pieno. Purtroppo sono ancora in pochi/e a rendersi conto che il problema non é il viscido personaggio di turno, ma il sistema che produce certi personaggi, cosí come sono in pochi/e a capire che la soluzione al problema non puó essere trovata seguendo le logiche di un sistema sociale, economico e politico che é esso stesso il problema.
condivido in pieno l’articolo di Maria Matteo che ha saputo formulare perfettamente le ragioni per le quali non ho partecipato alla manifestazione del 13 febbraio. Grazie.