Va premesso che esistono numerose sensibilità diverse nel pensiero anarchico e che, quindi, una sintesi necessariamente breve come quella che sto provando a fare rispecchia il mio personale punto di vista e non deve considerarsi esaustiva. Abbiamo affrontato il Programma Anarchico del 1919 come base ideologica, all’epoca condivisa dalla stragrande maggioranza del movimento anarchico di lingua italiana e, a questo punto, dobbiamo percorrere idealmente la strada dell’aggiornamento dei principi nel corso del ‘900 per verificare la possibilità di costruire un quadro utile per capire la società attuale e condividere alcune ipotesi di cambiamento.
Partirei da Camillo Berneri, pensatore anarchico fra i più importanti negli anni fra le due guerre mondiali, anche per la capacità di aprirsi al confronto con le forze più sane del riformismo italiano, senza le quali sarebbe ancora oggi impossibile immaginare un cambiamento non autoritario della nostra società. La sua analisi della situazione del 1926 è, infatti, assolutamente attuale e la sua proposta di lotta credibile: “il proletariato tipico è minoranza ed è fiacco e disorientato, e vi sono vari ceti intermedi, ben più importanti e combattivi. Non ne abbiamo tenuto conto, noi rivoluzionari, ed abbiamo avuto il fascismo. Se non ne terremo conto, avremo altri fascismi. Il calcolo di ogni strategia è un calcolo di forze. […] Di paradisi comunisti se ne parlerà fra qualche secolo. Ora è roba da far ridere e far pietà insieme. L’anarchismo non ha, al di fuori di quello sindacale, che un terreno sul quale battersi proficuamente nella rivoluzione italiana: il comunalismo. Terreno: politico. Funzione: liberale democratica. Scopo: la libertà dei singoli e la solidità degli enti amministrativi locali. Mezzo: l’agitazione su basi realistiche, con l’enunciazione di programmi minimi”[1]. Quella di Berneri è, appunto, la presa d’atto di una forte e aggressiva componente reazionaria nella società italiana, unita alla necessaria ricerca di un minimo comun denominatore con le forze autenticamente riformiste per un programma di cambiamento graduale che possa agevolare, nel lungo periodo, la formazione di un’alternativa anarchica. La proposta di Berneri segue il solco della strategia del gradualismo anarchico già in parte descritta nell’articolo precedente.
Il Comunalismo di matrice anarchica si ricollega al pensiero di Proudhon, di Bakunin e di Pisacane ma è stato sviluppato anche in tempi recenti proprio per la sua capacità di fornire risposte in merito ad una possibile configurazione della società futura. Negli ultimi decenni, è stato spesso utilizzato il termine alternativo di Municipalismo, in seguito agli approfondimenti proposti dal libertario nordamericano Murray Bookchin, noto anche per aver codificato i principi dell’ecologia sociale[2]. In effetti, il municipalismo costituisce un aggiornamento del pensiero comunalista storico. “Mentre le prime teorie attribuivano ai comuni sostanzialmente le funzioni amministrative e di erogazione di “servizi pubblici” affidando il potere decisionale alle società operaie (la cui federazione doveva essere parallela a quella dei comuni federati), il municipalismo libertario concepisce il comune come uno strumento di democrazia diretta che ha il controllo sull’economia. […] Il municipalismo libertario prevede una fase di transizione rivoluzionaria durante la quale la federazione dei comuni si afferma come potere alternativo contro lo Stato-nazione”[3].
Il municipalismo libertario prevede comunità autogestite a livello comunale o di quartiere nel caso di grandi città attraverso istituzioni di democrazia diretta: assemblee cittadine, assemblee popolari o riunioni urbane. Utilizzando le istituzioni autogestite i cittadini potrebbero autogovernarsi arrivando alle decisioni politiche attraverso processi di democrazia diretta. “Per affrontare i problemi che travalicano i confini del singolo comune, i comuni di una data regione formerebbero una confederazione e invierebbero i propri delegati a un consiglio confederale. La confederazione non sarebbe uno Stato, perché dipenderebbe integralmente dalle assemblee cittadine. I delegati inviati da queste assemblee avrebbero solo la facoltà di presentare le delibere delle rispettive assemblee; agirebbero esclusivamente su mandato e sarebbero facilmente revocabili.”[4]
Viene ipotizzato da Bookchin che attraverso lo sviluppo del movimento municipalista libertario e del sistema dell’autogoverno si possa estendere la portata delle istituzioni autogestite in senso municipalista configurando un possibile conflitto con le istituzioni statali che, a fronte dell’autogoverno popolare risulterebbero di fatto svuotati di senso. Una volta acquisita nei fatti la forza sufficiente i liberi comuni potrebbero strappare “il controllo della vita economica alle grandi imprese private, espropriando gli espropriatori. A quel punto sarebbe possibile dare vita a una società razionale, libertaria, ecologica, in cui il potere strutturale sarebbe in mano alle assemblee di democrazia diretta, animate da una cittadinanza attiva e vivace”[5].
La sintesi municipalista di Bookchin ha esercitato un notevole influsso sulla nuova sinistra che si oppone alla globalizzazione capitalista di stampo neoliberale e alcuni movimenti politici hanno utilizzato il municipalismo libertario per giustificare la partecipazione alle elezioni locali di liste civiche che avrebbero dovuto favorire la “transizione” verso il municipalismo. Il movimento anarchico non ha ovviamente seguito questa strada e, in effetti, penso che si possa affermare che il fenomeno delle liste civiche abbia soltanto favorito l’ascesa di una nuova élite di amministratori della cosa pubblica senza che si sia mosso un solo passo nella direzione preconizzata da Bookchin.
A mio avviso, il comunalismo e il municipalismo libertario costituiscono un interessante spunto di riflessione sulla struttura di una possibile società alternativa a quella attuale. Il pensiero di Bookchin ha il pregio importante di inserire nel contesto da protagonista il ruolo dell’ambiente e la necessità di ripensare radicalmente il rapporto fra l’uomo e ciò che lo circonda in un’ottica sociale. Ma per fecondare il dibattito sul municipalismo vorrei chiudere con un caso concreto nel quale si stanno applicando questi princìpi ormai da quasi 20 anni anche grazie alla presenza di una nutrita rappresentanza anarchica: la Federazione Municipale di Base a Spezzano Albanese, città di circa 10.000 abitanti in provincia di Cosenza in Calabria. La FMB non partecipa alle elezioni ma influisce sulle scelte amministrative locali attraverso il metodo assembleare e l’azione diretta riuscendo spesso a imporre il punto di vista dei cittadini ai recalcitranti amministratori[6].
[1] Camillo Berneri, Per un programma di azione comunalista, in “Pietrogrado 1917 Barcellona 1937”, a cura di Pier Carlo Masini e Alberto Storti, Milano, Sugarco, 1964. L’articolo si può trovare (insieme a molti altri liberamente scaricabili) in http://www.ecn.org/contropotere/download.htm
[2] Su Bookchin consiglio senz’altro il bel libro di Selva Varengo “La rivoluzione ecologica-Il pensiero libertario di Murray Bookchin”, Zero in Condotta, 2007.
[3] La politica dell’ecologia sociale: Intervista a Janet Biehl (compagna e collaboratrice di Bookchin) di Chuck Morse, 1998 in http://flag.blackened.net/ias/3biehlitalian.htm
[4] Idem
[5] Idem
[6] Vedi anche http://www.anarchia.info/ spazio gestito dalla Federazione Anarchica Spixana che fornisce informazioni anche sulla Federazione Municipalista di Base di Spezzano Albanese.