David Graeber (New York, 1962) è un antropologo anarchico statunitense che insegna alla Goldsmiths University di Londra, ma è anche uno dei più attivi esponenti del movimento Occupy Wall Street. I suoi libri vendono in tutto il mondo decina di migliaia di copie alla settimana e David è diventato uno dei più ascoltati critici della società capitalista.
Un redattore de L’Anarchico è stato presentato a David dalle compagne e dai compagni della casa editrice Eleuthera, che ha pubblicato in Italia due libri di David: Critica della civiltà occidentale e Frammenti di antropologia anarchica. Vi consiglio senz’altro di leggerli.
Mentre mangiamo una pizza da asporto presso il Circolo dei Malfattori (che ringrazio per l’ospitalità) davanti ad una bottiglia di vino che David, a differenza mia, beve con molta moderazione, ci mettiamo a chiacchierare…
L’Anarchico: Sono sempre stato interessato a indagare gli approcci anarchici all’economia e ho visto che fai parte della comunità Znet di Michael Albert, che si occupa della costruzione di una società alternativa al capitalismo basata sull’economia partecipativa. Come vedi questo tentativo di costruire un’alternativa di sistema al capitalismo?
David Graeber: Conosco Michael da molto tempo ma mi sono impegnato in questo progetto in modo piuttosto saltuario: lo giudico molto interessante anche se in realtà non l’ho mai considerato pienamente rispondente alle mie esigenze. A mio avviso, Michael Albert risente in parte della sua formazione negli anni ’60 e ’70 pertanto ha un approccio diverso dal mio, anche da un punto di vista generazionale. Il modello dell’economia partecipativa è assolutamente meraviglioso, ma la gestione del processo da parte di Michael mantiene a mio avviso un’impostazione un po’ settaria, tipica di quegli anni. La cosa più importante è che il progetto sia riuscito a far visualizzare agli attivisti sociali un’alternativa possibile al mercato, di tipo socialista e democratico, e questo risultato è dovuto in buona parte al lavoro di Michael. Chiaramente, quando si lavora molto per costruire un modello, allora si tende a diventare protettivi nei confronti dei risultati raggiunti e si tende ad arroccarsi sulle proprie posizioni. In realtà nessuno può veramente sapere come le persone si organizzeranno se e quando si presenterà l’occasione. Quindi, è stupendo avere un modello che dimostri che un altro sistema economico è possibile, ma penso sia sciocco pensare che questo modello rappresenti l’unica alternativa praticabile.
In effetti, Michael Albert ha ricevuto molte critiche provenienti da punti di vista anche molto diversi e mi è parso, anche dal punto di vista accademico, molto preparato a rispondere puntualmente per difendere la sua creatura …
E’ quello che sta facendo da parecchio tempo, del resto, e la capacità di discutere è una delle sue principali caratteristiche…
Da un punto di vista anarchico, la remunerazione del lavoro basata esclusivamente sullo sforzo e sul sacrificio è un altro punto molto controverso…
Sicuramente questo è un punto fondamentale. Ma a mio avviso il principale punto di debolezza della ParEcon è il sistema etico sottostante puramente utilitaristico… Ho avuto con Michael un confronto proprio riguardo al sistema etico e morale nel suo modello e gli strascichi di questa discussione mi hanno un po’ raffreddato sul progetto.
Quando ho messo in discussione la base utilitaristica della ParEcon, ovvero che l’unico criterio etico per preferire scelte alternative fosse massimizzare la felicità sociale complessiva misurata tramite l’utilità, allora mi sono accorto che Michael quasi non avesse coscienza della pericolosità di una scelta del genere e che ci potevano essere modi alternativi. Chiaramente, se in una società riuscissimo ad imporre la schiavitù al 10% della popolazione faremmo il restante 90% estremamente felice! (ride).
In effetti, anch’io non sono pienamente convinto dalla proposta ParEcon, soprattutto poiché mi risulta difficile immaginare e dettagliare tutti i meccanismi di funzionamento di un sistema per sua natura estremamente complesso in assenza di un coinvolgimento di massa. Nondimeno, penso che sarebbe molto utile per gli anarchici sfidare la visione di Michael con critiche costruttive e in modo sistematico, al fine di far emergere le problematiche che ci interessano. Infatti, penso che questo movimento che appoggia la ParEcon stia molto faticosamente cercando di costruire ponti fra il movimento anarchico e la cosiddetta “nuova sinistra” soprattutto nei paesi anglosassoni e che questo obiettivo sia di fondamentale importanza in tutto il mondo. Inoltre, penso che uno dei problemi che i movimenti antagonisti hanno al momento in tutto il mondo è proprio la capacità di immaginare qualcosa di diverso dal capitalismo e da questo punto di vista la ParEcon è un ottimo punto di partenza per una discussione…
Hai perfettamente ragione: una delle strategie degli attori del capitalismo finanziario è stato esattamente quello di distruggere questa capacità di immaginare alternative. Questo obiettivo è stato perseguito in modo talmente convinto che sembra che la necessità di questi attori di costruire un sistema capitalistico funzionale sia passato in secondo piano (ride).
E il capitalismo finanziario nel quale viviamo oggi è un sistema totalmente distorto rispetto al capitalismo competitivo e industriale della teoria economica classica. Chiamano capitalismo un sistema attraverso il quale riescono a giustificare e a perpetuare il dominio di una piccola oligarchia di potenti su tutto il resto. E questa situazione è ben rappresentata dal tuo fortunato slogan, oggi utilizzato da Occupy in tutto il mondo, sul 1% che schiaccia il restante 99% della popolazione.
Precisamente. I potenti paiono mettere tutti gli sforzi nel giustificare i presupposti psicologici e ideologici del capitalismo creando di fatto la più grande mistificazione della storia: convincere la popolazione di quasi tutti i paesi del mondo che il capitalismo è l’unico sistema economico possibile. E dall’altra parte, non si sono preoccupati di creare i presupposti per la sostenibilità nel medio lungo termine di questo sistema. E adesso questo sistema sta cadendo a pezzi e nessuno è in grado di immaginare alternative…
In effetti, penso che anche il tuo libro sul debito sia un contributo molto importante per contribuire a creare un immaginario alternativo al capitalismo attraverso una visone storica del funzionamento di vari sistemi economici funzionanti nel corso della storia. Sarei interessato a capire se nella ricerca di alternative visioni al capitalismo prevedi di partecipare attivamente all’iniziativa del gruppo Znet di Michael Albert per una sorta di nuova Internazionale chiamata IOPS-International Organisation for a Participatory Society (Organizzazione Internazionale per una Società Partecipativa).
In effetti, Michael mi ha coinvolto in questa iniziativa e ho aderito alla IOPS anche se, in realtà, mi sono limitato a mettere una firma senza approfondire. In effetti, il gruppo mi sollecita di prendere un ruolo più attivo in questa costruzione, ma ho visto che da parte di alcuni compagni è stata criticata la vicinanza della nuova organizzazione alla Quinta Internazionale e al Chavismo e, per il momento, non ho assunto un ruolo attivo in questo progetto.
Proprio riguardo alla vicinanza del gruppo che ha proposto la IOPS al Venezuela di Chavez i compagni anarchici in Italia, me compreso, hanno espresso enormi perplessità. Mi chiedevo come mai Noam Chomsky si sia invece compromesso con il regime di Chavez, anche partecipando ad una visita effettuata insieme a Michael Albert nel 2009…
Ho l’impressione che Noam Chomsky abbia seguito Albert in virtù dei suoi rapporti di amicizia con Michael. Sul fatto che sia andato a visitare Chavez e il Venezuela non ci vedo nulla di strano poiché a molti nordamericani interessa conoscere meglio il chavismo. Perché a voi no?
Generalmente, gli anarchici italiani detestano Chavez e lo considerano semplicemente un dittatore, in linea con la posizione dei compagni venezuelani espressa chiaramente su periodici come El Libertario.
La mia compagna conosce bene il Venezuela e, in effetti, la situazione sul campo è un po’ più complessa. Il ruolo delle assemblee locali nella gestione politica è molto importante e anche molti compagni anarchici partecipano a queste forme assembleari. E’ legittimo quindi che ci siano posizioni diverse su questo tema e che si continui a studiare questi aspetti. Detto questo, anche a me non piacciono le figure carismatiche alla Chavez, quando hanno il controllo totale della polizia. Va valutato anche il ruolo geopolitico di Chavez per l’autonomia del sudamerica dagli USA che può essere senz’altro visto come positivo. Forse non tanto per i Venezuelani, però (ride).
Cambiando argomento, cosa pensi della situazione europea attuale e quali sono le opportunità per produrre un cambiamento radicale anche alla luce della possibilità di una rottura del sistema monetario basato sull’Euro?
Nessuno sa quello che può succedere quando una crisi internazionale di questo tipo dovesse verificarsi. L’atteggiamento del movimento Occupy a New York nel quale ho partecipato personalmente è stato sempre quello di prepararsi ad affrontare la crisi del capitalismo, considerata inevitabile, costruendo capacità utili da usare quando il momento di crisi si presenterà, intrecciando relazioni che possano aiutare le persone a superare le difficoltà contingenti e a costruire cose radicalmente nuove. La mia previsione è che entro 2-3 anni questa crisi esploderà definitivamente, a meno che i governi non adottino politiche di cancellazione generalizzata dei debiti, cosa che considero politicamente molto difficile. Quindi, penso sia fondamentale per il nostro movimento educare quanta più gente possibile all’autogestione e alla democrazia diretta, come sta avvenendo, per esempio, in Grecia dove le carenze dello Stato vengono affrontate spesso con l’intervento “facilitatore” di compagni che si auto-organizzano. Anche perché l’alternativa è che intervengano i fascisti o la mafia. Questa penso sia la cosa più importante che possiamo fare al momento.
Come vedi la situazione del movimento greco al momento…
Dal punto di vista sociale i compagni si stanno muovendo alla grande: c’è una rete di ristoranti, bar e centri sociali autogestita che funziona molto bene. Da un punto di vista politico, ancora non vedo una crescita sufficiente a supportare un’alternativa concreta di sistema ma i compagni ci stanno lavorando.
Siccome abbiamo parlato dell’importanza di costruire alternative di sistema attraverso l’educazione, la democrazia e l’azione diretta mi interessa capire come valuti la strategia insurrezionalista, che si è manifestata in vari modi per esempio attraverso la rivolta generalizzata durante le manifestazioni e con attacchi di vario tipo in Grecia e in Italia.
Siccome ci sono molti diversi modi per essere insurrezionalisti, ma consideriamo come insurrezionalisti quei compagni che non si preoccupano di pianificare alcunché e lottano per creare una situazione di rottura fondamentale dell’esistente, nella convinzione che una volta realizzata questa rottura l’autorganizzazione consentirà di risolvere tutti i problemi.
Una questione importante è anche quella del movimento di massa. Ci sono dei momenti nella storia nei quali le azioni degli anarchici diventano un fenomeno di massa. In affetti ci sono stati diversi momenti recenti in Grecia in cui apparentemente la rottura sembrava vicina: le masse si sentivano in qualche modo anarchiche: hanno attaccato le banche, i palazzi del potere e hanno partecipato ad assemblee, occupazioni generalizzate, etc. Il problema è che molte di queste persone in realtà erano in qualche modo impreparate e manifestavano tendenze autoritarie, sessiste, a volte anche razziste.
La strategia della rivolta è stata seguita da un movimento di massa fino al punto estremo. Nel febbraio 2012, mezzo centro di Atene è stato dato alle fiamme ma le persone dopo sono tornate a casa e non è successo nulla.
Ho l’impressione che molte delle persone che hanno partecipato alle rivolte, poi si siano rese conto che alla distruzione di un sistema debbano corrispondere proposte concrete e alternative all’esistente. Quindi è sorta l’esigenza anche per gli insurrezionalisti di articolare proposte politiche quali il diritto alla casa, al cibo e al trasporto pubblico gratuito, etc. Molti hanno approfondito gli insegnamenti di Bakunin e Kropotkin e si sono dedicati alla costruzione di reti alternative di supporto sociale nel senso che ricordavo prima. Questo approccio “gradualista” di costruzione di alternative sembra aver conquistato un numero crescente di persone anche in aree precedentemente definite come insurrezionaliste. In conseguenza di ciò, penso che anche questi gruppi si stiano evolvendo in vari modi fino a sviluppare ad una sorta di post-insurrezionalismo.
Ovviamente, esistono anche delle piccole minoranze che arrivano a definirsi nichilisti o comunque che si comportano come tali. Ma sono molto pochi…
La conversazione è poi proseguita con una sorta di intervista collettiva che forse pubblicherò successivamente.
Ringrazio David Graeber per aver così amabilmente conversato con me e tutte le compagne ed i compagni di Eleuthera, in particolare Andrea, per l’aiuto che mi ha dato nel combinare questa chiacchierata.
Grazie per la segnalazione…!!!
A buon rendere!
Nota: nel caso immagino sarebbe un problema pubblicarlo anche da noi lasciando immutati i crediti?
@Znetitaly: Senz’altro potete ripubblicare l’articolo mettendo in evidenza il link all’articolo originale. L’autore è semplicemente L’Anarchico Blog (http://anarchico.noblogs.org/)… Ciao
“entro 2-3 anni questa crisi esploderà definitivamente, a meno che i governi non adottino politiche di cancellazione generalizzata dei debiti, cosa che considero politicamente molto difficile. ”
E’ una previsione molto condivisa, anche se varia l’arco temporale di attuazione, da alcune settimane ad alcuni anni. E’ chiaro che se io dico “prima o poi pioverà”, prima o poi, appunto, questa previsione si avvera. Ma, a parte queste banalità, credo che ci sia una diversa interpretazione dele termine “crisi”.
Io credo che la crisi sia funzionale al capitalismo, è attraverso la crisi che il capitalismo risolve le contraddizioni accumulate nella fase di crescita, e che sono sintetizzate nel concetto di caduta del saggio di profitto. Certamente la crisi è un passaggio delicato per questa formazione economico-sociale: i capitalisti più piccoli vengono travolte, il prezzo della forza-lavoro viene spinto al di sotto del suo valore, con l’aumento della miseria, del tedio di lavoro, dello sfruttamento, con conseguenze analoghe per i ceti popolari; ma se non c’è un intervento cosciente volto alla trasformazione sociale, tutto si riduce ad esplosioni individuali e collettive, che alimentano esclusivamente la disperazione nella possibilità di costruire una società basata sulla solidarietà, sull’uguaglianza e sualla libertà.
E’ in queste situazioni di crisi che emerge l’intervento del Governo. Il Programma Anarchico sostiene che:
“Erroneamente si dice che il governo compie oggi la funzione di difensore del capitalismo, ma che abolito il capitalismo esso diventerebbe rappresentante e gerente degli interessi generali.
[…] se il capitalismo fosse distrutto e si lasciasse sussistere un governo, questo, mediante la concessione di ogni sorta di privilegi lo creerebbe di nuovo poiché non potendo accontentar tutti avrebbe bisogno di una classe economicamente potente che lo appoggi in cambio della protezione legale e materiale che ne riceve.”
Questo io penso si possa applicare alle situazioni di crisi economica, prima che le contraddizioni travolgano il capitalismo, il Governo interviene per mantenerlo in piedi: dalla repressione dei movimenti di lotta contro i sacrifici, alla svendita di interi pezzi dei servizi sociali, dalle misure fiscali volte a redistribuire il reddito a vantaggio delle classi dominanti, alle spese militari, il Governo, sia nella versione nazionale che in quella sovranazionale, interviene come intelletto generale della borghesia, dell’aristocrazia finanziaria e dei proprietari fondiari, regolando in maniera autoritaria l’estrazione del plusvalore dalla classe operaia, la sua trasformazione in profitto, e la sua distibuzione tra le varie frazioni della classe dominante.
Se per la sconfitta del capitalismo non basta né una crisi economica né “la” crisi, non basta nemmeno una dimensione economico-sociale della trasformazione; occorre affrontare la questione politica, la questione dell’abbattimento del Governo, non di questo o quel governo, ma dell’istituzione stessa del Governo. Il popolo deve espropriare i capitalisti e mettere in comune i mezzi di produzione e la terra, ma questo è possibile solo abbattendo prima l’ordinamento giuridico (al cui vertice sta il Governo) che legittima la proprietà privata, distruggendo gli strumenti repressivi (carceri, polizia, magistratura) che impediscono al popolo di attuare la rivoluzione sociale. Solo allora si aprirà la strada all’anarchia.
scusatemi se sono stato un po’ lungo
@tiziano antonelli: grazie 1000 per il tuo contributo. per quanto può valere, condivido la tua analisi anche bisogna ricordare che questa crisi (attraverso l’esplosione insostenibile del debito) arriva a mettere in discussione non soltanto il settore privato ma anche gli stessi stati che rischiano di andare “in bancarotta” anche per puntellare i ceti dominanti privati (in primis le banche). Questa circostanza, almeno in teoria, potrebbe rompere il meccanismo solidale fra stato e capitalismo…