Sabato mattina 9 ottobre 2010: alla sveglia la radio ci avverte che anche oggi in Afghanistan hanno sparato sui militari italiani in cosiddetta “missione di pace”. Una bomba rudimentale ha fatto fuori quattro alpini della Brigata Julia. Quattro giovani che facevano il loro sporco lavoro. Magari erano anche convinti dalla propaganda militarista che i loro sforzi erano tesi a migliorare le condizioni di vita del popolo afgano, ridotto alla miseria più nera dagli interessi degli stati ricchi che sul suo suolo si combattono da sempre. Non mi sono mai stati simpatici i militari e ovviamente combatto la logica guerrafondaia, soprattutto quando giustifica la guerra vestendola con una falsa veste umanitaria. Penso anche che i ragazzi che entrano nell’esercito avrebbero potuto e dovuto fare scelte diverse e che il militare o il poliziotto non sono lavori che si possono fare per campare, in assenza di alternative valide. Ma so per esperienza che il lavoro non sempre si può scegliere e, del resto, la morte è un affare ancora più antipatico quando si muore sul lavoro. Chiaramente, i militari sono avvantaggiati nella morte rispetto agli altri perché diventano eroi con il funerale di stato, le autorità, il sostegno alle famiglie…
Pensando a queste cose, mi arriva la notizia che nella mattinata improvvisamente se n’è andato un compagno ed un amico, Franco Pasello, veneto di nascita e milanese (di Sesto San Giovanni) d’adozione. Ero molto legato a Franco anche perché era stato lui a regalarmi le prime riviste anarchiche della mia vita, un mercoledì di vent’anni fa alla stazione di Cadorna (dove lui dagli anni ’70 ad oggi faceva vendita militante ogni settimana). Negli ultimi anni, il nostro rapporto si è fatto ancora più profondo e non so più quante volte abbiamo passato serate e giornate insieme. Era un anarchico che si definiva “individualista”, con un profondo senso della responsabilità coniugato ad una sensibilità che sapeva relazionarsi con tutte le componenti (anche organizzate) dell’anarchismo. Lui c’era sempre. In ogni occasione in cui il suo apporto poteva essere utile e senza bisogno di doverglielo chiedere.
Franco aveva lavorato per quasi quarant’anni come fornaio (si era ritirato l’anno scorso per un dissidio insanabile con il suo ex datore di lavoro di una vita) ed era poco più che cinquantenne ma mostrava sulla pelle i segni di una vita vissuta senza mai tirarsi indietro. Un antimilitarista e antiautoritario viscerale che nel 1976/77 aveva dovuto subire 19 mesi in carcere (14 mesi di carcere militare e 5 di civile) per quella che all’epoca si chiamava obiezione totale ovvero rifiuto totale di servire lo Stato. In quell’occasione si era avvicinato a quell’anarchismo d’azione che poi sarebbe diventato a tutti gli effetti la sua vera famiglia. Franco amava l’azione e non accettava compromessi, risolvendoli spesso con lunghi scioperi della fame.
Sul carcere una volta aveva dichiarato alla rivista A: ”Data la mia situazione familiare, avrei potuto chiedere e forse anche ottenere l’esonero, ma non l’ho mai voluto fare. Lo sentivo come un compromesso che non avrei mai potuto accettare. […] Spesso mi sono sentito dire che io avrei scelto di andare in galera: non di una libera scelta si tratta, ma della logica e diretta conseguenza del mio rifiuto dell’esercito. È in questo contesto che l’alternativa del servizio civile per me non si è mai posta…”[1]. Questa frase rappresenta molto bene lo spirito indomabile di Franco che lui non ostentava mai ma che, tuttavia, era sempre presente nel suo sguardo.
Franco Pasello era autodidatta e aveva una biblioteca militante molto vasta che ha deciso di donare alla Rivista A. Nel suo minuscolo bilocale a Sesto, non c’era una libreria vera e propria ma i libri e le riviste erano dappertutto: quasi non c’era spazio per muoversi perché dovunque c’era un’edizione speciale dei testi di Bakunin o di Malatesta oppure la raccolta completa di Senzapatria (rivista antimilitarista e antiautoritaria fondata nel 1978 e durata quasi vent’anni con la quale aveva collaborato anche Franco). Si capiva che i libri erano per lui degli strumenti da usare per capire il mondo e attraverso le riviste che distribuiva in ogni occasione utile (vedi foto) arrivava a comunicare alle persone più diverse.
A casa sua, teneva tante fotografie del suo passato (era un fotografo dilettante) e una volta mi ha mostrato delle foto di un posto orribile chiedendomi (come faceva spesso) di indovinare le circostanze dell’immagine: era una delle carceri militari dove era passato in gioventù. A me ha ricordato i peggiori centri di detenzione per immigrati in Africa. Forse per l’abitudine alle difficoltà della vita, Franco era molto vicino alle sofferenze altrui. La compassione lo portava a farsi carico delle difficoltà degli altri in un modo che per lui era semplice nella sua radicalità.
Franco era di casa in molti campi rom italiani e conosceva molto bene la storia ed i costumi di queste popolazioni impegnandosi in prima persona per dare supporto alla loro causa per una vita dignitosa[2]. Spesso aveva dato una mano agli immigrati clandestini che riusciva a far sentire a casa propria con la sua semplicità e concretezza. Qualche anno fa, si era sposato solo per garantire un permesso di soggiorno ad una donna immigrata in gravi difficoltà. Dopo la cerimonia non l’ha più vista e per lui forse andava bene così…
I morti non sono tutti uguali. Franco amava tutte le persone: soprattutto quelle maltrattate dalla vita e sapeva che la guerra non può mai portare la libertà. Per questo si è speso in prima persona tutta la vita per testimoniare la sua disubbidienza all’autorità delle armi. Sono certo che Franco Pasello, se ne avesse avuto il tempo, avrebbe avuto compassione dei ragazzi con la penna nera morti in modo orribile lontano dalla propria famiglia, ma ciò non avrebbe cambiato di una virgola la sua vita dedicata a combattere contro la loro scelta di violenza.
Carissimo compagno Franco, sabato mattina è successo a te quello che succede sempre ai Rom come tu perfettamente lo descrivevi in un articolo: “[Que]i rom che anche quando si trovano in un posto da trent’anni e vivono in una casa hanno comunque pronta la campina perché sanno che in qualsiasi momento possono avere urgenza di partire, possono essere costretti a partire” [3]. Si vede che era il tuo momento per partire con una roulotte scassata. Mentre noi rimaniamo qui conservando un pezzetto della tua umanità perché ci ispiri a continuare la lotta contro l’autorità e la violenza dei potenti. Ci mancherai.
[1] Da A rivista Anarchica http://xoomer.virgilio.it/anarchivio/archivio%20testi/066/66_08.htm
[2] Ho trovato questo articoletto scritto da Franco “Dalla parte dei Rom”: http://www.angelfire.com/ma/art21/parterom.html
[3] http://www.angelfire.com/ma/art21/parterom.html
ho conosciuto Franco, ero proprio con quei 250 di cui lui parla nel suo racconto della permanenza nel reclusorio militare di Gaeta.
Ricordo di lui la sua bontà d’animo e la disponibilità.
Come testimone di Geova, ricordo che cercavamo di convincerlo della giustezza del nostro credo a volte in modo insistente.
Ho un caro ricordo di lui
Giorgio
caro franco non ti ho conosciuto se non ora che non ci sei più ma sapere che persone come te ci sono state e che certo ancora ci sono ma sconosciute perchè col solo potere della dignità ,sapere questo mi dà forza e anche una piccola intima gioia.
ciao franco
Ciao Franco, e’ stato bello conoscerti …