Proposte per cambiare il mondo: il Programma Anarchico

Nell’articolo precedente ho accennato ad una critica del sistema capitalista, anche nella sua versione meritocratica, dimostrando che affidare il controllo della società ad una minoranza per quanto “bene” selezionata porta inevitabilmente allo sfruttamento delle masse e al perpetuarsi dell’élite dei potenti. Spero anche di aver dimostrato indirettamente che anche la meritocrazia così come l’aristocrazia, la plutocrazia etc sono incompatibili non soltanto con il pensiero anarchico ma anche con la vera democrazia ovvero con il governo del popolo. D’altra parte, la demolizione delle logiche che governano l’esistente costituisce soltanto l’inizio della costruzione di una società diversa ed è, quindi, ancora più importante dettagliare i princìpi alternativi, che possono costituire la base per una nuova società anarchica di liberi ed eguali.

Il primo dei riferimenti irrinunciabili della proposta anarchica è sintetizzato nel Programma Anarchico approvato nel Congresso costitutivo dell’Unione Anarchica Italiana (UAI[1]) nel 1920 a Bologna e deriva dai princìpi della Prima Internazionale, rielaborati da Errico Malatesta nel 1919 e, per questo motivo, detto anche Programma Malatestiano. Questo programma fu approvato dalla quasi totalità degli anarchici di lingua italiana, inclusi molti importanti esponenti della corrente individualista e antiorganizzatrice, quindi, si può considerare senz’altro come rappresentativo del comune sentire dell’epoca e mantiene la sua attualità, come cercherò di dimostrare, anche nel contesto attuale[2].

I problemi della società venivano fatti derivare in senso storico dalla “costituzione di una classe speciale (governo), la quale, fornita di mezzi materiali di repressione, ha missione di legalizzare e difendere i proprietari contro le rivendicazioni dei proletari”[3] coadiuvata dal clero che “cerca d’indurre gli oppressi a sopportare docilmente l’oppressione”[4]. In estrema sintesi, la ricetta proposta per una nuova società passa per l’affermazione di alcuni principi cardine:

1. Abolizione della proprietà privata della terra, delle materie prime e degli strumenti di lavoro.

2. Abolizione del governo e di qualsiasi istituzione dotata di mezzi coercitivi.

3. Organizzazione della vita sociale per opera di libere associazioni e federazioni di produttori e consumatori (su basi volontarie).

4. Garantiti i mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai fanciulli ed a tutti coloro che sono impotenti a provvedere a loro stessi.

5. Guerra alle religioni ed a tutte le menzogne, anche se si nascondono sotto il manto della scienza. Istruzione scientifica per tutti e fino ai suoi gradi più elevati.

6. Guerra alle rivalità ed ai pregiudizi patriottici. Abolizione delle frontiere: fratellanza fra tutti i popoli.

7. Ricostruzione della famiglia in quel modo che risulterà dalla pratica dell’amore, libero da ogni vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da ogni pregiudizio religioso[5].

La cosa estremamente interessante, soprattutto se si considera che un secolo fa il proletariato era nella posizione storica di massima forza e si riteneva che la rivoluzione sociale fosse imminente, è che l’UAI scrivesse chiaramente nel suo programma ufficiale che il cambiamento rivoluzionario “non è cosa che si possa imporre colla forza, ma deve sorgere dalla coscienza illuminata di ciascuno ed attuarsi mediante il libero consentimento di tutti”[6]. Da qui si percepisce chiaramente la differenza strategica con altre fazioni rivoluzionarie, quali ad esempio i marxisti, che postulavano la dittatura del proletariato e il ruolo guida del loro Partito. Ancora più indicativa degli autentici principi antiautoritari dell’anarchismo sono le affermazioni successive: “nostro primo compito, quindi, deve essere quello di persuadere la gente. Sarebbe assurdo ed in contraddizione col nostro scopo di voler imporre la libertà, l’amore fra gli uomini, lo sviluppo integrale di tutte le facoltà umane, per mezzo della forza. Bisogna dunque contare sulla libera volontà degli altri, e la sola cosa che possiamo fare è quella di provocare il formarsi ed il manifestarsi di detta volontà. Ma sarebbe però egualmente assurdo e contrario al nostro scopo l’ammettere che coloro i quali non la pensano come noi c’impediscano di attuare la nostra volontà, sempre che essa non leda il loro diritto ad una libertà uguale alla nostra”[7].

Il programma riconosce chiaramente i nemici principali di un cambiamento che porti alla libertà e all’uguaglianza ovvero “coloro che sono i beneficiari degli attuali privilegi e dominano e regolano tutta la vita sociale presente”[8]. E le conclusioni scritte nel programma di novant’anni fa sembrano scritte oggi. “Lasciando da parte l’esperienza storica (la quale dimostra che mai una classe privilegiata si è spogliata, in tutto o in parte dei suoi privilegi, e mai un governo ha abbandonato il potere se non vi è stato obbligato dalla forza o dalla paura della forza), bastano i fatti contemporanei per convincere chiunque che la borghesia ed i governi intendono impiegare la forza materiale per difendersi, non solo contro l’espropriazione totale, ma anche contro le più piccole pretese popolari, e son pronti sempre alle più atroci persecuzioni, ai più sanguinosi massacri. Al popolo che vuole emanciparsi non resta altra via che quella di opporre la forza alla forza” [9]. Emerge chiaramente la contrarietà nei confronti della violenza (in quanto prevaricazione basata su una posizione di potere) parallelamente alla necessità di difendere le proprie prerogative anche colla forza nei confronti di chi esercitasse violenza.

Ma il cambiamento radicale non avviene istantaneamente: si tratta di un processo graduale nel quale si creano le condizioni per un trasformazione rivoluzionaria della società. “Noi non dobbiamo aspettare dì poter fare l’anarchia ed intanto limitarci alla semplice propaganda.[…] Noi dobbiamo cercare che il popolo, nella sua totalità o nelle sue frazioni, pretenda, imponga, prenda da sé tutti i miglioramenti, tutte le libertà che desidera, man mano che giunge a desiderarle ed ha la forza di imporle; e propagandando sempre tutto intero il nostro programma e lottando sempre per la sua attuazione integrale, dobbiamo spingere il popolo a pretendere ed imporre sempre di più fino a che non ha raggiunto l’emancipazione completa”[10].

L’analisi relativa alla lotta economica, che possa portare il popolo alla graduale emancipazione, pur risentendo delle differenti condizioni rispetto a quelle attuali, sembra in gran parte ancora valida, in particolare per quanto attiene al ruolo dell’immigrazione. I lavoratori “producono tutto e senza di loro non si può vivere: quindi sembrerebbe che rifiutando il lavoro essi potessero imporre tutto ciò che vogliono. Ma l’unione di tutti i lavoratori anche di un sol mestiere, anche di un sol paese, è difficile ad ottenere, ed all’unione degli operai si oppone l’unione dei padroni. Gli operai vivono alla giornata e, se non lavorano, presto mancano di pane; mentre i padroni dispongono, mediante il denaro, di tutti i prodotti già accumulati, e quindi possono tranquillamente aspettare che la fame abbia ridotti a discrezione i loro salariati. L’invenzione o l’introduzione di nuove macchine rende inutile l’opera di un gran numero di operai ed accresce il grande esercito dei disoccupati, che la fame costringe a vendersi a qualunque condizione. L’immigrazione apporta subito nei paesi dove gli operai riescono a star meglio, delle folle di lavoratori famelici che, volendo o no, offrono ai padroni il modo di ribassare i salari. E tutti questi fatti, derivanti necessariamente dal sistema capitalistico, riescono a controbilanciare il progresso della coscienza e della solidarietà operaia: spesso camminano più rapidamente di questo progresso e lo arrestano e lo distruggono”[11].

Da questa analisi, il programma postula la necessità di affiancare alla lotta economica la lotta politica ovvero la lotta contro il governo statale in quanto garante del capitalismo e delle classi privilegiate. Emerge infatti la convinzione che “non si può abolire il privilegio e stabilire solidamente e definitivamente la libertà e l’uguaglianza sociale se non abolendo il governo, non questo o quel governo, ma l’istituzione stessa del governo”[12]. Si riconosce comunque l’esigenza di “favorire tutte le lotte per le libertà parziali, convinti che nella lotta s’impara a lottare e che incominciando a gustare un po’ di libertà si finisce col volerla tutta. Noi dobbiamo sempre essere col popolo, e quando non riusciamo a fargli pretender molto, cercare che almeno cominci a pretender qualche cosa: e dobbiamo sforzarci perché apprenda, poco o molto che voglia, a volerlo conquistare da sé, e tenga in odio ed in disprezzo chiunque sta o vuole andare al governo”[13].

La lotta contro il governo è finalizzata a limitare la possibilità dello Stato di incidere negativamente sulle libertà popolari attraverso le leggi e la loro applicazione attraverso l’apparato repressivo. La strategia è molto chiara: “lo dobbiamo fare stando sempre fuori e contro il governo, premendo su di lui mediante l’agitazione della piazza minacciando di prendere per forza quello che si reclama. Mai dobbiamo accettare una qualsiasi funzione legislativa, sia essa generale o locale, poiché facendo così diminuiremmo l’efficacia della nostra azione e tradiremmo l’avvenire della nostra causa”[14].

La breve sintesi del Programma Anarchico costituisce un primo passaggio logico per comprendere meglio la proposta positiva degli anarchici. Ovviamente, nel corso dell’ultimo secolo di storia si sono sviluppati ulteriori aspetti che saranno oggetto di trattazione più avanti.

Per il momento, mi preme sottolineare la flessibilità di un programma ideato quasi un secolo fa: i princìpi cardine sono le fondamenta di un nuovo edificio ma non vengono innalzati i muri maestri e tantomeno i primi piani della nuova costruzione, giacché si ritiene che la progettazione dettagliata e l’edificazione di una nuova società sia responsabilità delle donne e degli uomini che si ritroveranno nella condizione di operare un cambiamento di vasta portata.

La differenza fra l’ideologia anarchica e altre ideologie dogmatiche che tutto prevedono e tutto prescrivono è lampante: solo l’anarchismo propone delle idee forti e poi lascia modo alle libere federazioni di cittadini di progettare il proprio futuro nel rispetto delle differenze. E le poche volte che gli anarchici hanno avuto la possibilità di sperimentare le proprie idee per brevi periodi di tempo, come in Ucraina dopo la rivoluzione russa del 1917 con il movimento machnovista e nella Spagna del 1936, i risultati sono stati incoraggianti anche se i compagni di strada della sinistra autoritaria hanno poi imposto la propria visione con la forza schiacciando nel sangue il fermento libertario.


[1] L’UAI fu una federazione di gruppi autonomi e individualità attivi su tutto il territorio nazionale che accettavano il Programma comune. Venivano regolarmente organizzati dei congressi nei quali venivano prese le decisioni, impegnative solo per i gruppi che le approvavano, ed era rappresentata per l’ordinaria amministrazione da una Commissione di Corrispondenza, coadiuvata da un Consiglio Nazionale. Nel periodo storico appena precedente al ventennio fascista gli anarchici erano maggioritari nel sindacato rivoluzionario Unione Sindacale Italiana e pubblicavano il quotidiano Umanità Nova (oggi pubblicato in forma settimanale) che in alcune province italiane superava la tiratura del quotidiano socialista L’Avanti.

[2] Il Programma Anarchico del 1919 è rappresentato da poche pagine scritte in maniera estremamente chiara: quindi, consiglio di leggerlo interamente sul sito della Federazione Anarchica Italiana http://federazioneanarchica.org/archivio/programma.html .

[3] Programma Anarchico (1919)

[4] idem

[5] idem

[6] idem

[7] idem

[8] idem

[9] idem

[10] idem

[11] idem

[12] idem

[13] idem

[14] idem

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