La recente costituzione di un Collettivo Milanese per l’Educazione Libertaria (CMEL), soggetto promotore di un convegno/laboratorio molto interessante “Quando la Scuola Cambia” svoltosi il 5 febbraio del 2012 a Milano, mi ha dato lo slancio per riflettere sull’argomento. La partecipazione di pubblico al convegno è stata assolutamente sorprendente così come l’interesse suscitato dall’iniziativa anche al di là dei tradizionali ambiti libertari (su questo canale un estratto video). Spero, quindi, che su questi temi si possa sviluppare un dibattito ma, soprattutto, che si moltiplichino sul territorio nazionale iniziative analoghe.
Prendo spunto dalla definizione di educazione libertaria dal sito dell’omonima rete (Rete Educazione Libertaria o “REL”) per inserire qualche riflessione personale e da non addetto ai lavori, basata in parte sulla visione sviluppata da Ivan Illich, che spero possa essere utile ai fini dello sviluppo di una reale e diffusa lotta per la realizzazione di un’educazione totalmente nuova ed aperta a tutti:
“[Perché si parli di educazione libertaria] in qualsiasi contesto educativo, i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze [devono avere] il diritto di decidere individualmente, come, quando, che cosa, dove e con chi imparare e [devono avere] il diritto di condividere, in modo paritario, le scelte che riguardano i loro ambiti organizzati, in modo particolare le loro scuole, stabilendo, se ritenuto necessario, regole e sanzioni”[1]
La definizione è, a mio avviso, un buon luogo per partire visto che contiene gran parte delle tematiche che considero rilevanti e può essere utile a diffondere i concetti di base anche a chi si avvicina a questo contesto per la prima volta. Innanzitutto, mi sembra fondamentale sottolineare come l’educazione libertaria non sia obbligatoriamente legata all’istituzione scolastica giacché, almeno nella prima parte della definizione, si parla esplicitamente di “contesti educativi” e non di “scuole”. Questa circostanza è fondamentale se si parte dall’assunto che la scuola non è per definizione un’istituzione libertaria ma rappresenta, al contrario, il luogo autoritario dell’omologazione delle persone ad un sistema prevalente di valori. Mi sembra particolarmente importante rendersi conto di quello che Illich chiama il mito dei valori istituzionalizzati: “La scuola ci insegna che l’istruzione produce l’apprendimento. L’esistenza delle scuole produce la richiesta di scolarizzazione. Una volta che abbiamo imparato ad aver bisogno della scuola, tutte le nostre attività tendono ad assumere la forma di un rapporto clientelare con altre istituzioni specializzate”[2].
Sono certo che questo tema sia stato affrontato all’interno della REL e che, probabilmente, la risposta che la rete ha inteso proporre è comunque quella in linea con l’affermazione presente nel Manifesto per l’Educazione Libertaria: “il contesto da noi privilegiato per la messa in opera di principi e pratiche democratiche così intesi è la scuola”. Quindi, per il momento, accantonerei la questione per non appesantire troppo la trattazione, sperando che possa essere oggetto di discussione successiva. Va inoltre sottolineato che i principi dell’educazione libertaria possano essere applicati “in qualsiasi contesto educativo”: questo significa che possano coesistere e armonizzarsi le tendenze che supportano lo sviluppo di nuovi contesti educativi quali le scuole d’iniziativa privata ma anche tutti gli esperimenti di rottura dell’autoritarismo in qualsiasi contesto che abbia una finalità educativa.
Procedendo con la definizione, ci si limita a menzionare “bambin* e ragazz*”. Son certo che ci deve essere un buon motivo per non affrontare l’educazione di tutte le fasce di età ma debbo rilevare che questa limitazione di campo sembra confermare l’approccio scuolacentrico che, forse, potrebbe configgere con una visione che voglia guardare all’educazione come un processo che dura tutta la vita e non necessariamente basato su obblighi e curricula di tipo scolastico. Ricordando Illich, “nella scuola si può insegnare soltanto ai bambini. Solo segregando degli esseri umani nella categoria della fanciullezza è possibile assoggettarli all’autorità di un insegnante”. Fatta questa premessa, capisco la scelta di limitare il campo di azione di una rete che decida di non focalizzare la propria attenzione nel contesto dell’esistente sui contesti educativi partecipati (anche) da adulti e che decida di non mettere in discussione l’istituzione scolastica. Ma (anche) questa scelta merita comunque di essere discussa.
Parimenti fondamentale al fine di scardinare quello che Illich chiama il mito dei valori confezionati[3], ovvero l’approccio di una scuola che propone proposte didattiche precostituite, è il “diritto di decidere individualmente, come, quando, che cosa, dove e con chi imparare e abbiano il diritto di condividere, in modo paritario, le scelte che riguardano i loro ambiti organizzati, in modo particolare le loro scuole, stabilendo, se ritenuto necessario, regole e sanzioni”. Questo punto essenziale della visione libertaria dell’educazione è difficilmente attuabile nel contesto di sistema educativo attuale in un paese come l’Italia. Forse è per questo motivo che la REL appare attiva nel sostenere e condividere gli approcci di scuole alternative di tipo libertario/democratico che normalmente si pongono in qualche modo al di fuori del sistema scolastico esistente (utilizzando l’espediente della cosiddetta scuola parentale).
Uno degli spunti legati alla definizione di educazione libertaria che, personalmente, mi appassiona di più è l’attinenza di quest’ultima parte della definizione al principio di autogestione così come lo concepisco: ovvero un principio in base al quale in dato contesto ciascun partecipante ha diritto ad influenzare le decisioni suscettibili di influire sulla propria individualità proporzionalmente all’impatto potenziale della decisione su sé stesso. E’ quindi molto interessante riflettere sulla potenzialità di un’applicazione del principio di autogestione all’istituzione scuola. Premesso che l’istituzione è incompatibile con l’autogestione, a mio avviso, la conquista di spazi di reale autogestione nella scuola statale avrebbe un impatto potenzialmente devastante (e, quindi, positivo) sull’istituzione stessa e sui meccanismi coercitivi da essa propugnati.
Considerato l’enorme e dirompente potenziale della crisi attuale del capitalismo e delle sue istituzioni (scuola compresa) mi sembra fondamentale promuovere un movimento di condivisione e contagio dei processi autogestionari scolastici al fine di favorire la graduale diffusione in tutto il sistema educativo. Questa proposta permetterebbe di superare l’impressione che la scuola libertaria sia possibile soltanto in un contesto di nicchia e sposterebbe il baricentro della lotta nella scuola di Stato che, a mio avviso, rimane l’ambito d’intervento irrinunciabile di un movimento che desideri essere incisivo e rivoluzionario. Inoltre, avrebbe il pregio di spostare l’attenzione dagli operatori scolastici professionali e dai genitori verso il fulcro di una prospettiva reale di generalizzato cambiamento, ovvero le studentesse e gli studenti, reali protagonisti di qualsiasi esperienza autogestionaria nella scuola.
Questa attenzione nei confronti della lotta di student* e insegnant* per l’apertura di contesti educativi libertari autogestionari e conflittuali all’interno della scuola di Stato, non esclude ovviamente il lavoro fattivo per l’apertura di nuove esperienze educative totalmente svincolate dall’offerta educativa statale. Ritengo anzi che la costruzione di isole libertarie nell’educazione italiana (come il ben noto esempio della scuola Kiskanu di Verona aderente alla REL e attiva dal 2004) può avvenire in sinergia con nuove esperienze di occupazione di scuole realmente improntate all’autogestione e mirate alla costruzione di alternative di massa alla scuola gestita dallo Stato.
Per concludere, concordo con Illich quando afferma che “non possiamo neanche pensare a una riforma dell’istruzione se non ci rendiamo conto che il rituale della scuola non favorisce ne l’apprendimento individuale ne l’eguaglianza sociale. E non possiamo superare la società dei consumi se non cominciamo col comprendere che, qualunque cosa in esse si insegni, le scuole pubbliche obbligatorie riproducono inevitabilmente quella stessa società.”[4] Conseguentemente, il cammino che ci si trova a percorrere in questo campo è lungo ed estremamente complicato. Una ragione in più per continuare a costruire contesti educativi plurali capaci di scardinare il sistema scolastico esistente attraverso proposte concrete innovative.
[1] Dal sito della Rete per l’Educazione Libertaria (http://www.educazionelibertaria.org/) estratto da una definizione dell’IDEC (International Democratic Education Conference).
[2] Ivan Illich, “Descolarizzare la Società”, Milano, 1973 disponibile online qui. Altri studiosi libertari hanno espresso critiche radicali alla scuola si veda ad esempio, Marcello Bernardi quando dice che “a scuola il bambino si adatta all’idea che la paura sia uno stato d’animo normale e che l’intera vita debba essere vissuta nel timore della disapprovazione, del castigo, dell’esclusione”.
[3] “La scuola vende un corso di studi: vale a dire, un pacco di merci simili per struttura e metodo di fabbricazione a qualunque altra mercanzia. La produzione di questi corsi nasce nella maggior parte delle scuole da una ricerca cosiddetta scientifica, partendo dalla quale i tecnici dell’istruzione prevedono, nei limiti fissati dai bilanci e dai tabù, la futura richiesta di utensili umani per la catena di montaggio. L’insegnante-distributore porge il prodotto finito all’allievo consumatore, le cui reazioni vengono attentamente studiate e schedate perché forniranno i dati necessari all’elaborazione del prossimo modello.” Illich, ibidem
[4] Illich, ibidem