“Le Nostre Braccia” di Andrea Staid (di Elena Violato tratto da A Rivista Anarchica)

L’ottimo compagno Andrea Staid ha prodotto un nuovo libro sugli effetti dei fenomeni migratori sulla nostra società dal titolo “Le nostre braccia”, edito da Agenzia X. E’ un libro che offre spunti molto interessanti, incoraggiando l’ibridazione culturale e il meticciato come antidoto nei confronti dell’intolleranza. I meccanismi dello sfruttamento dei migranti e come questi si ripercuotano sul lavoro in generale sono decritti in modo molto chiaro nel libro che consiglio senz’altro di leggere e di far leggere soprattutto a quell* che non hanno ancora capito il gioco sporco che si gioca sulle spalle dei migranti. Mi è piaciuta molto la breve ma intensa recensione scritta da Elena Violato sul numero di febbraio di A Rivista Anarchica e ho chiesto ad Elena di potervela proporre:

“Lo sfruttamento dei Migranti ” di Elena Violato tratto da A Rivista Anarchica n.368 febbraio 2012.

Migranti, immigrati, stranieri, clandestini, rifugiati, richiedenti asilo, arabi, asiatici, africani, sudamericani… insomma Loro… e Noi.

Noi abbiamo tanti pareri diversi su Loro, più o meno tante quante sono le forme del razzismo contemporaneo. Anche tra i benpensanti, tra quelli che magari con fare caritatevole cercano di dare sempre almeno un euro alla ragazza incinta fuori dalla chiesa che chiede l’elemosina, c’è sempre l’idea di fondo che Loro hanno bisogno di un aiuto e Noi, l’unica cosa che possiamo fare in tal senso, se non si ha cuore di rispedirli a casa, è tentare di farli integrare, invitarli, imporre loro di integrarsi…

Integrazione: Loro che vengono da Paesi politicamente e culturalmente arretrati devono adattarsi a Noi, diventare come Noi, esponenti dei Paesi civilizzati e democratici.

Come Noi che spingendo il capitalismo oltre ogni limite stiamo devastando un pianeta intero, l’economia mondiale e le vite di milioni di persone che proprio a causa Nostra sono costrette ad emigrare dalle loro terre e venire da Noi, solo per poi scoprire che per Loro qua non c’è felicità, e che a Noi possono andar bene solo come schiavi.

Noi che emulando l’efficienza delle macchine, aneliamo spasmodicamente di eliminare i basilari bisogni umani e dobbiamo fare i conti con un aumento di suicidi, di consumo di alcolici, di droghe, di psicofarmaci, un aumento che sembra essere direttamente proporzionale alla velocità con la quale aumenta il ritmo di “crescita”, di “evoluzione”, di “progresso”.

Noi che crediamo di essere il centro del mondo e al massimo siamo una delle maggiori cause della rovina del Mondo. Noi che vorremmo che anche chi non è Noi, incominci a vedere, a credere come Noi.

Se giunti a questo punto il termine “razzismo” per alcuni può apparire, nonostante tutto, troppo forte, allora si potrebbe proporre di parlare di “etnocentrismo”, cioè del mettere la propria cultura (intesa in senso antropologico) come chiave unica e giusta di lettura del reale.

E a proposito di questo risulta interessante il libro di Andrea Staid, “Le nostre braccia”, che lungi dal voler fare la classica esaltazione delle classi migranti oppresse e sfruttate, con l’intento di investirle della carica di soggetto rivoluzionario del ventunesimo secolo, tenta di andare oltre ed eliminare definitivamente il binomio Noi-Loro.

Lo fa primariamente mettendo in discussione il concetto di identità chiusa e definita una volta per tutte, mostrando come la storia del genere umano sia stata caratterizzata da continui cambiamenti, rimescolamenti e mutazioni, tant’è che in nessun caso si può parlare di culture “pure”, incontaminate da influssi esterni. Inoltre, continua Staid, oggi più che mai è assurdo inneggiare ad un’originalità dei costumi dato che con la globalizzazione e la mobilità internazionale, molte delle       cose che mangiamo, facciamo, diciamo e pensiamo provengono da altre parti del pianeta e la tendenza è sempre di più quella di un appiattimento generale su un’unica grande monocultura, mix artificioso di tutte le culture del pianeta, il cui cavallo di battaglia rimane, nonostante la crisi, il lifestyle americano.

Contro gli identitarismi e contro l’avanzare di questa globalizzazione la proposta contenuta in questo testo è quella del meticciato, che non dev’essere necessariamente un dato di fatto ma innanzitutto un atteggiamento mentale.

La paura è debolezza, nient’altro. scrive Bruno Barba nella prefazione del libro Un’identità in costruzione-consapevole di esserlo-, accogliente, attenta, curiosa, aperta, non avrebbe nulla da temere.

Panta rei, tutto scorre, e Noi vorremmo fermare il mondo, non per scendere, ma per dominare.

Così non è e così non dev’essere, secondo Andrea Staid e secondo molti altri che vedono nella mutazione culturale una componente essenziale di qualsiasi processo che voglia anche solo vagamente definirsi “rivoluzionario”.

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Una risposta a “Le Nostre Braccia” di Andrea Staid (di Elena Violato tratto da A Rivista Anarchica)

  1. lenostre braccia scrive:

    RECENSIONE
    «Le nostre braccia. Meticciato e antropologia delle nuove schiavitù».

    E’ da poco uscito il nuovo libro di Andrea Staid, “Le nostre braccia. Meticciato e antropologia delle nuove schiavitù”, per le edizioni Agenzia X.
    L’autore sceglie un approccio sincero e propositivo alla questione migrante, offrendo uno spunto critico personale sia alle interpretazioni antropologiche classiche europee, sia alle conseguenze politiche e culturali delle quali si rendono complici o promotori gli Stati con la loro perversa articolazione di controllo dei flussi e repressione.
    La prima parte, più specificamente analitica, è rivolta ad evidenziare sia la confusione vigente tra multiculturalismo e interculturalismo, sia il loro intrinseco identitarismo. Il multiculturalismo, com’è noto, non sostiene alcuna interazione relazionale tra culture, ma al contrario una sostanziale impermeabilità nel viversi fianco a fianco come vere e proprie isole ontologiche. Sappiamo, inoltre, quanto scarsamente efficace si è dimostrato in Inghilterra, patria multiculturale d’adozione.
    L’interculturalismo, seppur rivolto alla sollecitazione di relazioni mediante la valorizzazione di segmenti identitari “morbidi”, luoghi utili all’avvicinamento tra culture e tradizioni differenti, ripropone inevitabilmente il pericolo sotteso al differenzialismo: il rafforzamento di identità immodificabili, sebbene aperte ad un dialogo negoziato su punti non necessariamente aperti alla liberazione dei soggetti marginali (penso al ruolo della donna in una società sessista come quella che viviamo: si può ipotizzare un dialogo interculturale che trovi convergenze su un ruolo subalterno o di uguaglianza uomo/donna? La risposta è retoricamente sotto i nostri occhi).
    Tra i suoi sostenitori in Italia vi sono illustri esponenti del centrosinistra italiano, la cui maggiore opera interculturale realizzata è l’ex Cpt, ovvero un lager per migranti.
    Mi limito ad aggiungere che accanto alle due precedenti interpretazioni esiste in Francia la proposta assimilazionista: da una parte si sostiene che le leggi francesi sono universali, dall’altra si tengono ben lontani i cittadini di seconda generazione dal centro bianco e autoctono delle città-vetrina, con i risultati che ben conosciamo nelle periferie.
    L’autore, invece, propone e difende l’idea di un inesorabile meticciato etnico e culturale, ritenendolo – forse con una punta di ottimismo che immediatamente vorremmo verificare realizzata – l’inevitabile approdo per una collettività che abbatta steccati e prigioni dell’identità, unica merce dai grandi profitti nell’Europa della crisi monetaria e sociale.
    Da segnalare la significativa attenzione dedicata alle assistenti di cura, precarie per eccellenza fino nella definizione più usuale di “badanti”, un subdolo modo di sottrarre professionalità ad un lavoro ritenuto “naturale”, e per questo più ricattabile.
    La scoperta più interessante del lavoro di Andrea è la sua predilezione per le indagini qualitative, ovvero una metodologia anti-autoritaria di ricerca legata alla (auto)riflessività di chi sollecita l’incontro e di chi offre il suo tempo per raccontarsi. La seconda parte del libro è infatti dedicata alle interviste non strutturate alle/ai migranti, che restituiscono con voce propria la cornice di un viaggio, spesso amaro, difficile, ma anche inaspettatamente ricco di incontri complici e solidali, utile per comprendere le nostre gabbie e l’unica voce di un’umanità meticcia.
    E’ poco noto ma negli Stati Uniti, fin dalla metà degli anni Settanta, militanti femministe tentarono di imporre un dibattito sul metodo nelle scienze sociali che ponesse la ricerca qualitativa (interviste, osservazione partecipata…) sullo stesso piano di metodologie ritenute erroneamente neutre e positiviste. La narrazione in tutte le sue forme, dal diario alle interviste, avrà un ruolo incredibile anche all’interno del movimento di liberazione black e antisessista dell’epoca. Ed è quindi un motivo in più per apprezzare questo lavoro.

    Magù

    Andrea Staid, «Le nostre braccia. Meticciato e antropologia delle nuove schiavitù», Milano, Agenzia X, 2011. 13 euro.

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