Qualche riflessione quasi attuale

Nelle ultime settimane sono successe molte cose sulle quali L’Anarchico è stato sollecitato da alcuni lettori a prendere una posizione. Passato un po’ di tempo per lasciare sedimentare le questioni, ecco le riflessioni sui primi due argomenti che, anche se un po’ in ritardo, spero possano chiarire una delle tante possibili posizioni anarchiche (la mia) e contribuire al dibattito.

Il 14 dicembre 2010, in corrispondenza con il voto di fiducia al governo Berlusconi, si sono registrati gravi scontri tra manifestanti e polizia in pieno centro di Roma, con una conseguente criminalizzazione del movimento degli studenti (componente maggioritaria tra i manifestanti, che comprendevano anche alcune sigle sindacali e i terremotati dell’Aquila).

Qui qualche foto (molte altre si trovano in rete):

Premetto che, a mio avviso, il concetto di violenza va limitato alla prevaricazione fisica e/o morale nei confronti di persone in condizioni di relativa debolezza rispetto al soggetto attuatore dell’atto violento. Quindi, sono violente (oltre che spesso assolutamente gratuite) le manganellate della polizia nei confronti dei manifestanti, ormai diventate una costante in quesi tutte le manifestazioni di dissenso radicale, non soltanto nei confronti degli studenti: in varie occasioni furono colpiti con violenza i manifestanti aquilani, i pastori sardi, gli operai, i No TAV, etc etc. In base a questo ragionamento, non sono invece violente le reazioni alla violenza altrui così come le distruzioni di oggetti che, chi non li ritiene atti dimostrativi contro obiettivi di tipo politico, potrebbe al limite chiamare più propriamente atti di vandalismo.

Si tratta di un copione già visto in molti altri casi: quando un movimento popolare sembra guadagnare forza allora le provocazioni e i pestaggi polizieschi provocano una reazione anche violenta (ovvero non rivolta a difendersi e/o sproporzionata rispetto all’offesa ricevuta) e il potere ha buon gioco nel criminalizzare i movimenti sociali. La classe politica è, infatti, volontariamente incapace di porsi come controparte credibile per una negoziazione che risolva i problemi sociali e, di conseguenza, si arriva all’esasperazione e da questa, in assenza di una strategia chiara e percepita generalmente come vincente, si arriva facilmente allo scontro violento.

Dopo la manifestazione si è aperto un dibattito che, a livello di classe politica, non ha fatto altro che confermare lo scollamento totale dei nostri cosiddetti rappresentanti rispetto alle istanze che vengono proposte dalla società. Emblematico di un atteggiamento di criminalizzazione è il comportamento dell’attuale Ministro della Difesa, La Russa, alla trasmissione Anno Zero di Michele Santoro:

Senz’altro più interessante il dibattito strategico su quanto accaduto apertosi a livello di movimento studentesco. Stupisce che, a differenza di molte altre occasioni anche gli studenti cosiddetti “moderati” questa volta abbiano cercato di evitare di dividere il movimento, riconoscendo che gli episodi avvenuti non erano un affare di poche decine di cosiddetti (anche impropriamente) Black Blocs[1]. Ciò dimostra che l’esasperazione era sentita a livello generale con la risultante rabbia condivisa da quasi tutti i manifestanti.

In questo contesto, si inserisce Roberto Saviano “a gamba tesa” con una lettera del 16 dicembre, nella quale invita gli studenti ad “allontanare i violenti, […] smettere di indossare caschi, […e] non copri[rsi] […] sfila[ndo] con la luce in faccia e la schiena dritta […] perché si manifesta per mostrare al Paese[…] che ci sono diritti da difendere […], che c’è chi garantisce che tutto si svolgerà in maniera civile, pacifica e democratica perché è questa l’Italia che si vuole costruire, perché è per questo che si sta manifestando. Non certo lanciare un uovo sulla porta del Parlamento muta le cose. Tutto questo è molto più che bruciare una camionetta. Accende luci, luci su tutte le ombre di questo paese. Questa è l’unica battaglia che non possiamo perdere”.

La lettera di Saviano, prevedibilmente, provoca reazioni anche feroci, anche perché appare molto semplificatoria (accomunando atti dimostrativi e oggettivamente non violenti quali il lancio di uova e l’attacco ad una camionetta con dei finanzieri dentro) e corrobora la logora strategia del potere tesa alla divisione fra manifestanti “buoni” e “cattivi”[2].

A prescindere dal dibattito, le lotte degli studenti continuano ma, nel frattempo, la riforma Gelmini è stata approvata e il movimento appare (dall’esterno) in fase di appannamento, non solo mediatico. Chiaramente, il caso specifico richiederebbe un’analisi molto più approfondita, che esulerebbe dagli obiettivi di questo articolo, ma ritengo che il dibattito sulle strategie e sulle tattiche migliori per arrivare ai risultati sia molto salutare per i movimenti sociali, anche quando fa sorgere divergenze dolorose come quella seguita all’uscita di Saviano.

E’ innegabile che Saviano sia stato superficiale, ma il problema che ha evidenziato non lo è affatto e non si risolve liquidando le sue critiche in modo altrettanto sbrigativo. Chi si sente forte delle proprie ragioni non deve mai temere chi esprime idee diverse e, anzi, occorrerebbe sfruttare l’opportunità di visibilità che il Saviano di turno offre ad argomentazioni diverse. Guardando all’esperienza storica degli ultimi anni, è innegabile che l’uso della violenza, anche soltanto per reagire a provocazioni politico/poliziesche, abbia portato ad un indebolimento dei movimenti sociali (vedi l’esperienza di Genova 2001). Paradossalmente, quanto più i movimenti diventano forti e partecipati e, quindi, si trovano in condizioni di non prenderle passivamente, quanto più le reazioni che sconfinano (spesso giustificabilmente) nella violenza vengono strumentalizzate dal potere portando ad una divisione all’interno dei movimenti e ad un forte deterioramento della capacità di lotta[3].

Quindi, ritengo che la capacità di reagire con violenza alle provocazioni da parte dei movimenti sociali non rappresenti un segno di forza ma, al contrario, possa diventare spesso un oggettivo elemento di debolezza. I movimenti davvero forti e partecipati dovrebbero, quindi, essere preparati ad affrontare i rischi, anche politici, di uno scontro adottando strategie di resistenza e anche di reazione condivise non basate sulla violenza. Quindi, non accettando di scendere al livello violento della controparte. In pratica, mantenere nello scontro con chi cerca di aggredire il movimento un approccio forte ma non violento. Personalmente, per quello che può valere, penso sia giusto predisporre strutture di autodifesa in una manifestazione che non consentano a nessuno di esercitare impunemente la violenza utilizzando, se necessario, la forza in modo che si potrebbe definire “legittimo”: per dirla con il vecchio Malatesta: “[…] alla violenza fisica opponete, poiché è necessario, la resistenza fisica”[4].

Le risposte all’uso della violenza da parte del potere possono essere diverse fino ad arrivare alla resistenza passiva[5]: il movimento per l’indipendenza dell’India di Gandhi si scontrò con la potenza dell’impero inglese con una strategia a medio-lungo termine intransigente e radicale, ma assolutamente anti-violenta pagando un prezzo elevatissimo, anche in termini di vite umane. Ma alla fine il risultato che il movimento si era prefisso fu raggiunto, implementando coerentemente la propria strategia ed accettandone i costi. Personalmente, non sono un militante della non-violenza ma sono molto affascinato da questa forma estrema di resistenza e mi pare un buon punto di riferimento per determinare la migliore risposta strategica alle aggressioni del potere. Poi ciascuna strategia dev’essere autodeterminata dai militanti a seconda del contesto dopo ampia e plurale discussione perché possa essere ampiamente condivisa.

L’altro argomento sul quale L’Anarchico è stato sollecitato ad esprimersi è il fatto che, a fine dicembre, sono ricomparsi i pacchi bomba, rivendicati, a quanto pare, dalla fantomatica Federazione Anarchica Informale. La sigla non è nuova ad atti del genere e pur autodefinendosi anarchica, non è dimostrato che dietro la sigla esistano dei militanti autentici e nel caso esistessero che questi siano effettivamente anarchici. Negli anni passati sono anche state arrestate e processate delle persone fisiche sospettate di appartenere a questa organizzazione, ma alla fine del percorso giudiziario sono state tutte assolte[6]. Per quanto riguarda la magistratura, l’esistenza di questa sigla non è affatto dimostrata e qualcuno pensa che le bombette siano un’utile espediente del potere per innalzare il livello di tensione.

In ogni caso, siccome questa sigla non partecipa alle lotte del movimento anarchico italiano, in alcuno degli svariati campi dove siamo presenti a viso aperto, per noi che non li conosciamo è impossibile dare una valutazione, se non per gli atti che sono stati ad essi attribuiti. E inviare dei pacchi bomba che colpiscono nel mucchio non aiuta a progredire nella lotta libertaria ed è, quindi, condannabile e condannato in modo inequivocabile dal movimento anarchico e, per quello che può valere, anche da “L’Anarchico”. Si veda, solo a titolo di esempio, l’ultima netta presa di posizione della Federazione Anarchica Italiana sull’argomento (che fa seguito alle altrettanto nette prese di posizione del passato in casi analoghi) che fa riferimento al fatto che “non è da anarchici praticare la violenza colpendo gli innocenti e con una logica intrinsecamente autoritaria e avanguardistica”[7]. A tutti i lavoratori delle ambasciate colpite che sono stati feriti esprimo, quindi, tutta la mia sincera solidarietà.


[1] Sul fenomeno del Black Block consiglio assolutamente di scaricare e leggere l’articolo di Claudio Albertani “Paint it Black”: http://www.ecn.org/contropotere/PAINT_IT_BLACK.zip

[2] Suggerisco di utilizzare un motore di ricerca per trovare numerosi esempi del dibattito oltre a questi:

http://www.caunapoli.org/index.php?option=com_content&view=article&id=780:risposta-a-saviano-e-alla-sua-lettera-ai-ragazzi&catid=58:mobilitazioni-nel-resto-ditalia&Itemid=133

http://www.reset-italia.net/2010/12/16/risposta-a-saviano-da-uno-di-26-anni-il-14-dicembre-a-roma/

http://www.repubblica.it/scuola/2010/12/17/news/saviano_studenti-10302798/?ref=HRER1-1

[3] In molti casi, anche gli atti dimostrativi diretti alla distruzione dei simboli del dominio (come la distruzione dei bancomat o delle vetrine di alcune tipologie di commerci) vengono bollati dai media e dai potenti come “violenti” anche se non lo sono.

[4] Errico Malatesta, “Per la libertà”, in L’Agitazione, 2 luglio 1897

[5] http://www.utopie.it/nonviolenza/resistenza_passiva.htm

[6] Questo articolo fa il punto fino al 2005: http://salgalaluna.blog.dada.net/post/205942/anarcoinsurrezionalisti,+repressione+e+dintorni mentre in questo articolo tratta di un’altra assoluzione del 2010: http://bellaciao.org/it/spip.php?article26700

[7] L’URGENZA DELL’ANARCHIA. Mani maciullate, volti ustionati e criminalizzazione del Movimento anarchico. A tanto ammonta il bottino dell’ennesima, miserabile, campagna di ordinaria provocazione. Il copione di sempre viene rispettato con stolida puntualità. Quando il conflitto sociale si alza, mentre la classe politica si dibatte nelle sue molte miserie e lo scollamento tra istituzioni e paese reale si fa sempre più evidente, le fiammate che più di tutte fanno comodo al potere sono quelle dei pacchi esplosivi inviati in busta chiusa. Lo scorso marzo c’era andato di mezzo un lavoratore delle poste. Pochi giorni fa, a dicembre, sono rimasti menomati due addetti alla corrispondenza delle ambasciate svizzera e cilena a Roma. Nell’esprimere a entrambi la nostra solidarietà, ricordiamo che uno dei due feriti è un compagno attivo nella ex Lavanderia Occupata di Roma. Queste imprese sono compiute appropriandosi dell’acronimo della Federazione Anarchica Italiana – FAI – che, invece, ha una tradizione di lotte concrete e a viso aperto per la reale liberazione di ogni essere umano da ogni potere. D’altra parte, pur non sapendo da chi siano fatte, sono le azioni che qualificano chi le compie, e la sedicente “federazione anarchica informale – FAI”, nata – o forse creata – solo qualche anno fa, si qualifica da sola: non è da anarchici colpire nel mucchio; non è da anarchici sfuggire alle proprie responsabilità nascondendosi dietro un nome che è di altri; non è da anarchici praticare la violenza colpendo gli innocenti e con una logica intrinsecamente autoritaria e avanguardistica. Il gioco è scoperto, e lo avevamo capito sin dall’inizio: si tenta di coinvolgere il movimento libertario in operazioni funzionali all’azione repressiva indiscriminata dei governi e che oggettivamente si sommano alle provocazioni che lo Stato mette in atto per criminalizzare il dissenso. Grazie a queste trovate incendiarie, lo Stato italiano e i fautori dell’ordine costituito tornano a giocarsi la carta della “emergenza terrorismo”: il modo migliore per lasciare marcire in galera i detenuti politici e mantenere vivo e vegeto il sistema di dominio. Quando scoppiano le bombe, infatti, è la gente comune che comincia ad avere paura. E quando si ha paura si è meno disposti a desiderare una vita diversa e a mettersi in gioco. Eppure, la gravità della situazione in cui versa l’Italia (in un contesto planetario) merita uno sforzo in termini di analisi e di intervento politico che non possono essere disattesi, e che hanno bisogno del massimo grado di impegno e responsabilità rivoluzionari. Sono tante e urgenti le sfide da affrontare: la ferocia dell’attacco sferrato dal capitalismo contro il mondo del lavoro; la dilagante repressione portata avanti dallo Stato nei confronti dell’opposizione sociale; l’insostenibile violenza usata dal potere per schiacciare le categorie più esposte alla precarietà e all’impoverimento; l’insopportabile militarizzazione dei territori in un’ottica di guerra interna ed esterna; il pervasivo controllo sociale in un orizzonte orwelliano di restringimento della libertà; la continua ingerenza del potere clericale nelle dinamiche sociali; la devastante opera di sfruttamento e distruzione delle risorse naturali e dell’ambiente; e molto altro ancora. Di fronte a tutto questo, il Congresso della Federazione Anarchica Italiana è consapevole di quanto sia difficile vivere in un mondo intriso di autoritarismo dove il modello culturale che domina le esistenze di tutti è plasmato sull’egoismo e la sopraffazione, sulla disuguaglianza e la discriminazione. Tuttavia, e proprio in ragione dell’urgenza dell’Anarchia come opzione praticabile e umanamente sostenibile per far fronte all’abbrutimento in cui il sistema ci mortifica, il Congresso della FAI ribadisce e rilancia l’impegno costante all’interno dei conflitti e delle lotte reali: per promuovere e sviluppare percorsi concreti di autogestione e autorganizzazione attraverso l’azione diretta e senza deleghe; per diffondere i valori e le pratiche di libertà e solidarietà in tutti i contesti del vivere comune, sempre dalla parte degli oppressi e contro gli interessi di chi detiene il potere politico ed economico; per la liberazione di tutta l’umanità dalla schiavitù dello stato e del capitalismo. Viva la F.A.I.!

Viva l’Anarchia! Il XXVII Congresso della Federazione Anarchica Italiana – FAI Roma, 6/7/8/9 gennaio 2011

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3 risposte a Qualche riflessione quasi attuale

  1. San Pietrino scrive:

    No. Non sono i giovani, quello che si è rotto il cazzo o che lo vuole rompere sei tu e l’altro stripp-ato, controrivoluzionari e pseudo anarchici da tavolino che rompete le palle in tutti gli articoli di questo blog con delle considerazione se non ‘sospette’, di sicuro da ‘provocatori controrivoluzionari’ quali siete diventati…. o forse siete sempre stati.

  2. spazi altri scrive:

    Oh, ma avete notato che sono sempre meno i giovani che s’interessano di politica?
    Religione, politica…. nessuno pratica più…. sì sì…. ma che palle la politica, meglio l’amore,
    la macchina nuova, lo shopping…. Ma cosa intendono per amore?… BoH!!??!
    Perché secondo voi i giovani si sono allontanati così tanto dalla politica?
    Ve la sentireste di fare un parallelismo con la religione?
    Il prete che ti dice; dovete frequentare di più la parrocchia, la chiesa…se volete che il mondo cambi….
    L’attivista che ti dice; e tu che cazzo fai per parlare così?… Almeno noi ci impegniamo per cambiare qualcosa, anche tu dovresti fare qualcosa per cambiare nel tuo piccolo!!

    Insomma che cazzo, tra politica e religione qui si sono tutti rotti il cazzo!

  3. strippy scrive:

    Oh, dimenticavo, a parte questo articolo un po’ prolisso che per un blog azzeccagarbugli come il tuo è anche normale ma, perché al centro studi libertari non avete invitato anche Alfredo Bonanno? Lui di argomenti a favore della rivoluzione/insurrezione ne avrebbe avuti, eccome!
    E’ importante!!!

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