Economia e Anarchia

Partiamo da una definizione del concetto di economia allontanandoci da una delle possibili definizioni spesso usate dagli anarchici ovvero il concetto di economia come sinonimo di economia capitalistica[1]. In questo senso, le proposte anarchiche sono state spesso identificate come tentativi volti al superamento dell’economia. Luciano Lanza[2] riassume bene questo concetto ribadendo che “parlare di teoria anarchica ed economia significa descrivere più un’assenza che una presenza. Nell’immaginario anarchico la rivoluzione sociale avrebbe fatto piazza pulita di tutti i problemi economici: la nuova società non avrebbe conosciuto economia, in quanto scienza della società del dominio”[3].

Concordo sul fatto che lo studio dell’economia sia nato e cresciuto parallelamente allo sviluppo del capitalismo e che lo studio dell’economia assuma naturalmente il ruolo politico di motivare le scelte di gestione dell’attività economica giustificando, al limite, un sistema piuttosto che un altro[4]. Ritengo però importante rendere più neutro il concetto di economia considerandola semplicemente come lo studio del sistema economico, ovvero, del sistema complesso che sovrintende alla produzione e al consumo di beni e servizi funzionali alla società.

Come già ricordato, dall’economia discendono aspetti fondamentali di politica economica che possono riguardare ad esempio la distribuzione delle ricchezze in un dato sistema economico e, quindi, l’economia e la politica nel mondo moderno si trovano in stretto collegamento. D’altra parte, produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi costituisce una basilare attività umana che occorre studiare a prescindere dal sistema economico prevalente in un dato momento storico anche allo scopo di identificare e studiare le alternative potenziali.

Fatta questa premessa, riprendiamo dall’articolo di Luciano Lanza un breve sunto del pensiero anarchico “classico” in economia che non saprei scrivere meglio di quanto non abbia già fatto lui:

Pierre-Joseph Proudhon, uno tra i primi pensatori a usare il termine anarchia in senso positivo, fonda gran parte delle sue proposte di trasformazione sociale proprio su strutture economiche. Una società formata da liberi produttori che si sviluppa su liberi accordi in un contesto federativo è il primo passo, secondo Proudhon, per coniugare socialismo e mercato, mercato e mutualismo. Da qui una visione dinamica dell’economia: la libera concorrenza come motore dello sviluppo sociale, ma una concorrenza che trova nel mutualismo il suo correttivo per non scivolare nel monopolio. Proudhon introduce il mercato nella logica di una società libertaria perché ritiene insuperabile la legge del valore nella sua duplice articolazione, valore d’uso e valore di scambio: “Ora, l’attitudine che hanno tutti i prodotti, sia naturali sia industriali, di servire alla sussistenza dell’uomo, si chiama particolarmente valore d’utilità; l’attitudine che essi hanno di essere dati un per l’altro, è valore di scambio. (…) Così la distinzione stabilita nel valore è data dai fatti, nulla ha d’arbitrario: tocca all’uomo, subendo questa legge di volgerla a pro del proprio benessere e della propria libertà” (Sistema delle contraddizioni economiche. Filosofia della miseria, 1846).

Impostato il problema del valore, Proudhon arriva all’elemento fondante del mercato: lo scambio: “… l’offerta e la domanda, nelle quali si vuol vedere la sola norma dei valori, non sono altro che due forme cerimoniali che servono a mettere a fronte il valore d’utilità e il valore di scambio e a provocare la loro conciliazione. Sono questi i due poli elettrici che messi in rapporto producono il fenomeno di affinità economica che si chiama scambio” (ibidem). Il mercato in questa visione diventa luogo dove si manifestano le “affinità economiche” e non luogo di scontro. Ma per fare in modo che il mercato abbia questa dimensione si deve riconoscere che “è il lavoro, il lavoro solo che produce tutti gli elementi della ricchezza e che li combina sino nelle loro ultime molecole secondo una legge di proporzionalità variabile, ma certa” (ibidem).

Qui Proudhon è tutto all’interno della teoria del valore-lavoro, la sua è più una posizione ideologica che scientifica: è legato al socialismo che deve rivalutare il lavoro come unico (o principale) creatore di ricchezza sociale. Una posizione che peraltro è presente anche nell’anarchismo americano, spesso frettolosamente indicato come versante liberale dell’anarchismo. […]

Per [l’anarchico americano Josiah] Warren il prezzo di un bene non dovrebbe essere determinato dalla sua utilità, ma secondo il principio del lavoro. Vale a dire che il tempo impiegato e le difficoltà incontrate per produrre un bene ne determinano il prezzo. […]

Questi due pensatori (Proudhon e Warren) immettono nelle prime formulazioni dell’anarchismo il concetto (a prima vista liberale) della concorrenza economica, ma soprattutto Proudhon (e poi anche il discepolo di Warren, Benjamin Tucker) ha anche la capacità di mettere in luce i danni prodotti dalla concorrenza: “La concorrenza uccide la concorrenza”, perché “il monopolio è il termine fatale della concorrenza, che lo genera con un’incessante negazione di se medesima” (Sistema delle contraddizioni…).

La teoria anarchica è molteplice, pluralista, così accanto a pensatori “liberali” ne troviamo anche di “comunisti”. Le virgolette in entrambi i casi sono d’obbligo, perché ovviamente i termini vanno presi solo come indicazione molto approssimativa.

Il campione del comunismo anarchico è sicuramente Pëtr Kropotkin. Questo grande pensatore, in un certo senso fondatore del filone positivista dell’anarchismo, ha un approccio all’economia che non si discosta dalla razionalità consueta: il massimo risultato con il minimo sforzo, anche se inserita in una visione umanitaria. Il lavoratore deve spendere il meno possibile delle sue forze, ma questo nulla toglie al fatto che il positivismo di Kropotkin sia, alla fine, in sintonia, nella parte essenziale, con gli economisti del suo e del nostro tempo. Con la capacità, però, di anticipare di alcuni decenni gli studi legati alla teoria dei bisogni. Scrive Kropotkin: “Non è anche lo studio dei bisogni che dovrebbe dirigere l’economia?” (La conquista del pane, 1892). Qui Kropotkin, pur all’interno di un approccio economicista (molto sui generis), ribalta la questione: non è il mercato che determina le quantità da produrre e scambiare, ma quanto e cosa manifesta il soggetto desiderante. L’homo oeconomicus è sostituito dall’uomo preso in sé e per sé: soggetto libero che liberamente manifesta le sue preferenze. E infatti: “Ma dal momento in cui la [la produzione] consideriamo sotto questo punto di vista, l’economia politica cambia totalmente d’aspetto. Cessa di essere una semplice descrizione dei fatti e diventa una scienza, allo stesso titolo della fisiologia: si può definirla lo studio dei bisogni dell’umanità e dei mezzi per soddisfarli con la minima perdita possibile di forze umane. Il suo vero nome sarebbe fisiologia della società. Costituisce una scienza parallela alla fisiologia delle piante o degli animali che, esse pure, sono lo studio dei bisogni delle piante o dell’animale e dei mezzi più vantaggiosi per soddisfarli” (ibidem). La dimensione organicista di Kropotkin, a questo punto, abbraccia tutto lo scibile umano, anche una “scienza” come l’economia (destinata a ben altri fini) viene piegata a una visione olistica. E seguendo questa direzione il “comunismo” di Kropotkin sfocia perfino nella spiegazione e legittimazione della ricerca del lusso: “Se vogliamo la rivoluzione è certamente, in primo luogo, per assicurare il pane a tutti, per trasformare questa società esecrabile (…). Ma ci attendiamo ben altro dalla rivoluzione (…). E come tutti gli uomini non possono e non devono somigliarsi (la varietà dei gusti e dei bisogni è la principale garanzia del progresso dell’umanità), ci saranno sempre, ed è auspicabile che ci siano sempre, degli uomini e delle donne i cui bisogni saranno al di sopra della media in una qualsiasi direzione” (ibidem).

Con il superamento dell’economia attraverso la fisiologia della società abbiamo la summa “dell’economia che non c’è” nel pensiero anarchico. Pensiero che si articola nell’approccio proudhoniano: l’economico come elemento costitutivo della società di liberi produttori e consumatori in concorrenza tra loro. Quello kroptkiniano: il superamento dell’economia in una società retta dal mutuo appoggio e proiettata verso un’armonia che prescinde dalla concorrenza. E, infine, l’approccio pragmatico di Malatesta che sussume l’economia interamente nel sociale

[…] Dall’esame delle proposte anarchiche sull’economia abbiamo, dunque, una triplice risposta. Ma sarebbe un errore pensarle come soluzioni alternative: come se l’una escludesse le altre. Il pluralismo dell’anarchismo e del pensiero libertario si riconosce anche in queste tre formulazioni. Che, dopotutto, sono anche espressioni di diversi momenti della socialità. Qui, forse, cogliamo l’indicazione più innovativa nei tre pensatori anarchici riunendoli in un unico contesto. Il problema non è tanto di natura squisitamente economico quanto sociale. Di rapporti sociali, di ingegneria sociale non tralasciando l’ambito psicoantropologico.

Ma c’è un interrogativo di fondo a cui rispondere: l’economia ha un posto nella società libertaria? È compatibile con l’anarchia? Vale a dire i valori di eguaglianza, libertà e diversità. Da qui un altro interrogativo: una società egualitaria fondata sulla libertà come regola i suoi rapporti legati alla produzione e allocazione dei beni materiali? Mantiene una sfera autonoma per regolare questi rapporti o li riassume in altre sue istituzioni? Proudhon riconosce validità alla concorrenza dei liberi produttori e consumatori, anche se è consapevole dei rischi e dei danni della concorrenza. Con un antidoto: “Non si tratta di uccidere la libertà individuale, ma di socializzarla” (Sistema delle contraddizioni…). Il pensatore di Besançon si pone quindi, in una certa misura, tra coloro che riconoscono come gli “uomini d’affari italiani del medioevo” (Yves Renouard, Les hommes d’affaires italiens du moyen age, Libraire Armand Colin, 1968) abbiano dato vita a una forma di relazioni sociali capaci di affrancare l’uomo dalla schiavitù feudale. Ed è anche consapevole che l’hanno immesso in una dimensione nuova contrassegnata dal profitto e dall’espansione produttiva. Kropotkin includendo l’economia nella sua visione olistica la supera: la società al di là del dominio è “naturalmente” armonica e i rapporti economici sono un tutt’uno con la dimensione comunitaria. Malatesta proiettandosi nel futuro riscopre le situazioni tipiche delle società definite “arcaiche”: l’economia non ha più ragioni di esistere perché è riassunta nelle altre istituzioni sociali, non ha più un percorso autonomo[5].

Su questa visione pluralista del movimento anarchico in economia, Luciano Lanza prende in considerazione una proposta economica innovativa detta Parecon (Economia Partecipativa) originariamente ipotizzata dallo studioso di politica Michael Albert[6] e dall’economista radicale Robin Hahnel[7]. Questa proposta è stata ed è tuttora discussa nell’ambito della sinistra libertaria americana dove si sta conquistando un seguito anche tra i gruppi neo-marxisti. Purtroppo, la proposta Parecon è stata tuttora poco approfondita nel movimento anarchico di lingua italiana anche se, recentemente, è stata oggetto di un’ampia disamina in un paio di recenti articoli[8] su A Rivista Anarchica ove si sollecita un dibattito allargato sull’argomento economia.

La proposta di Economia Partecipativa prevede:

(i) proprietà collettiva dei mezzi di produzione; (ii) decisionalità basata su consigli di produttori e di consumatori che scelgono le procedure di delibera in modo flessibile a seconda delle circostanze; (iii) mansioni individuali bilanciate tra lavoro direttivo, creativo e piacevole e quello ripetitivo, subalterno e pericoloso; (iv) retribuzione del lavoro in proporzione all’impegno profuso, al tempo dedicato e al sacrificio compiuto senza tenere conto dell’abilità personale o della produttività; (v) collegamento tra produttori e consumatori al fine di coordinare lo sforzo produttivo con le esigenze della popolazione attraverso un processo di programmazione partecipativa[9]. “Come si vede, Parecon è una struttura articolata sui consigli, sullo scambio di informazioni per arrivare a formulazioni di pianificazione libertaria non rigida, continuamente aperta al variare delle condizioni e delle preferenze di consumatori e lavoratori. Parecon si presenta quindi come terza via tra mercato capitalista e pianificazione centralizzata”[10].

La critica di Lanza alla proposta Parecon sembra incentrata sull’assolutismo pareconiano che prevede l’impossibilità di convivenza fra la pianificazione partecipativa e altre forme di organizzazione dell’allocazione di beni e servizi. Lo stesso Albert citato da Lanza, infatti, afferma che “avere un po’ di mercato in una parecon sarebbe come avere un po’ di schiavitù in una democrazia […]. La logica dei mercati non è compatibile con quella della pianificazione partecipativa e di parecon nel suo complesso, ed è anche imperialista; una volta ammessa cerca di diffondersi il più possibile”[11]. Questo atteggiamento totalizzante appare, infatti, lontano dal possibilismo pluralista degli anarchici descritto in precedenza.

L’atteggiamento critico nei confronti della proposta Parecon è assolutamente condivisibile anche se è auspicabile approfondire l’analisi in modo da fornire maggiori elementi di dettaglio che possano contribuire a definire meglio una possibile proposta anarchica di cambiamento del sistema economico. Non posso che sottoscrivere l’appello a sviluppare insieme una critica costruttiva considerato che “la proposta pareconiana rappresenta, al momento, l’unico modello di cambiamento radicale coerente, dettagliato e completo per costruire un sistema economico di stampo libertario alternativo al capitalismo. L’investimento volto a sviluppare una critica costruttiva che possa ulteriormente migliorarla, anche tenendo conto di altre idee, può essere portato avanti soltanto a livello collettivo e spero che sorga un interesse in tal senso nel movimento libertario in senso allargato”[12].


[1] Per esempio, vedi l’interessante saggio introduttivo al volume 1/90 della rivista anarchica Volontà “Al di là dell’economia” scritto da Luciano Lanza “Il mercante e l’utopista” pp.7-23.

 

[2] Giornalista, uno dei fondatori di A-Rivista Anarchica, Direttore Responsabile della rivista Libertaria, autore di “Bombe e segreti. Piazza Fontana: una strage senza colpevoli”.

[3] Luciano Lanza “Fare i conti con l’economia”, Libertaria n. 2 – 2004.

[4] Per esempio, ci sono economisti liberali classici, keynesiani, monetaristi, marxisti, dell’economia partecipativa e chi più ne ha più ne metta con suffissi neo-, post- etc.

[5] Luciano Lanza “Fare i conti con l’economia”, Libertaria n. 2 – 2004

[6] Vedi anche il libro di Michael Albert, “OLTRE IL CAPITALISMO un’utopia realistica” traduzione di Roberto Ambrosoli, 2007, Elèuthera.

[7] Vedi il sito italiano della Parecon http://zinternational.zcommunications.org/Italy/parecon-it.htm e quello americano/internazionale http://www.zcommunications.org/topics/parecon (in lingua inglese)

[8] Marco Gastoni “La sfida anarchica all’economia” A Rivista Anarchica n.348, Novembre 2009 http://www4.datacomm.ch/anarca-bolo/a-rivista/348/33.htm e Marco Gastoni “L’Economia Partecipativa in pillole” A Rivista Anarchica n.349, Dicembre 2009/Gennaio 2010 http://www4.datacomm.ch/anarca-bolo/a-rivista/349/81.htm.

[9] Marco Gastoni “La sfida anarchica all’economia” A Rivista Anarchica n.348, Novembre 2009.

[10] Luciano Lanza “Fare i conti con l’economia”, Libertaria n. 2 – 2004

[11] idem

[12] Marco Gastoni “L’Economia Partecipativa in pillole” A Rivista Anarchica n.349, Dicembre 2009/Gennaio 2010.

Questa voce è stata pubblicata in Generale e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

4 risposte a Economia e Anarchia

  1. EsIstEgal scrive:

    Molto interessante! Se permetti lo copio, con aggiunta magari di un mio commento, sul mio blog (citando ovviamente la fonte). L’unica osservazione che mi viene in mente é che manca purtroppo un riferimento alle teorie economiche di Karl Polany, molto costruttive viste da una prospettiva anarchica. Sulla Parecon ho letto qualcosa di piú dettagliato in inglese, ho anche trovato un sito in lingua tedesca (lingua che capisco) dedicato a questa teoria economica, ho intenzione di approfondire e in segiuto magari riusciró a scrivere qualcosa sull’argomento, tempo e capacitá permettendo.

    • lanarchico scrive:

      @EsIstEgal: Tutto quello che viene pubblicato su L’Anarchico è liberamente utilizzabile citando la fonte… Sarà un piacere estendere il dibattito sul tuo blog. Nel frattempo, mi informerò su Karl Polany che non conosco.

  2. Gino Ancona scrive:

    Alle persone oneste

    Siamo in una crisi strutturale del sistema capitalistico, tutto quello che è servito per affermarlo e legittimarlo adesso è causa del suo collasso – la macchina che è in grado di produrre l’oggetto all’infinito, quindi di abbassarne continuamente i costi aumentando i profitti diffondendo “ricchezza” intorno, la “ricchezza” necessaria ed essenziale per reggere il meccanismo che si chiama mercato – adesso “l’infinità degli oggetti” ha “finito” il mercato e non bastano di certo le “piccole tragedie” come quelle dell’Aquila a risollevarlo;

    il disastro al quale va incontro il Pianeta e le battaglie in sua difesa sempre più diffuse, incominciano a compattare sempre più vasti strati di popolazione e a mettere in discussione un sistema economico, come quello capitalistico, che è diventato il paradosso e il contrario dell’economia stessa in quanto non è più un qualcosa che sostiene la vita, ma è la vita stessa di un intero pianeta che sostiene un sistema di profitto;

    intere “aree geografiche” sempre più in fermento e in movimento perché non più disponibili ad assolvere ruoli subalterni ai paesi che maggiormente hanno goduto dello sviluppo capitalistico che e inoltre, ha generato fame nella parte maggiore del Pianeta spesso, anche, più ricca di risorse;

    il sistema politico di gestione non ha fatto altro, nel sostenerlo, che aggravare ulteriormente lo stato di crisi del capitale e quindi, un sistema politico, non più utile nel mantenimento degli “equilibri” squilibrati.

    Socialismo o barbarie – a quanto pare la strada che il potere ha scelto è quella delle barbarie! D’altro canto la politica l’unica cosa che riesce a “contrapporre” è una “resistenza” destinata sempre più ad un ruolo puramente testimoniale perché incapace di sganciarsi dalle logiche di sudditanza al capitale e che, al massimo, riesce a far arrampicare, da qualche parte, per far “reclamare” ma più che altro cercare di far elemosinare un collare da schiavo e così facendo legittima inequivocabilmente il potere stesso;

    da anni, dall’ultimo tonfo conseguente all’ultimo “assalto al cielo” degli anni ’70, sempre più in molti si sono indirizzati verso una concretizzazione delle proprie aspirazioni di vita e nei fatti e in qualche modo, rappresentando un ricordo di quello spirito, ben più grande, che costruì ed animò il grande slancio popolare teso all’Emancipazione dalla schiavitù del lavoro e dal lavoro;

    da anni vediamo crescere una spinta autogestionaria che si sgancia sempre più dalle logiche della politica e dalle sue strutturali divisioni-contrapposizioni riproponendo, anche se in forme spesso confuse, la necessità di ritornare sul terreno dell’organizzazione sociale solidaristica, mutualistica e di cooperazione tra gli individui e le loro forme sociali;

    noi pensiamo che se si incominciasse a ragionare insieme, raccogliendo il valore delle singole esperienze, rafforzandole con un Progetto Sociale Complessivo costruito insieme, si potrebbe essere in grado di riproporre l’Emancipazione non più come pio desiderio ma come precisa realtà in movimento utile, anche, a sostenere e a dare uno sbocco di cambiamento al “fronte di resistenza” nella speranza che riacquisisca dignità sganciandolo finalmente dal ricatto padronale.

    Pensiamo che la costruzione dell’alternativa concreta al capitalismo sia la massima urgenza da porre, non più solo al dibattito ma alla concretezza della quotidianità per garantire la nostra Vita e la Vita del Pianeta dalla barbarie.

    Gino Ancona (seg. Nazionale sindacato Arti e Mestieri USI-AIT)

    \Da quando le persone corrotte si uniscono fra loro per costituire una forza, poi le persone oneste devono fare lo stesso\. Lev Tolstoj

    http://www.artiemestieri.info/index.php?option=com_content&task=view&id=125&Itemid=1

    • lanarchico scrive:

      Grazie Gino del tuo contributo. Anche L’Anarchico è convinto dell’urgenza non soltanto di sviluppare dibattiti sulla costruzione di un mondo nuovo ma anche dell’articolazione di pratiche autogestionarie di liberazione. Il lavoro da fare è molto ma speriamo che le alternative sappiano svilupparsi…

I commenti sono chiusi.